Restano tutti in carcere i sette catanzaresi fermati, su disposizione della Dda, nell’ambito dell’operazione “Aemilia” che ha portato all’arresto in tutta Italia di oltre 160 persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso.
Pur non ravvisando gli estremi per la convalida dei fermi, il giudice per le indagini preliminari Ilaria Tarantino, ieri, ha emesso su istanza della Procura un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Giuseppe Celi, 37 anni (difeso dall’avvocato Piero Mancuso), Dario Cristofaro, 52 (avv. Stefano Nimpo), Antonio Maletta, 35 (avv. Piero Mancuso), Matteo Mazzocca, 28 (avv. Piero Mancuso), Gennaro Mellea alias “Piero”, 38 (avv. Gennaro Pierino Mellea), Alex Scicchitano, 28 (avv. Giuseppina Pino e Simona Longo) e Roberto Corapi, 54 (avv. Piero Mancuso).
Secondo la Direzione distrettuale antimafia, Mellea, Corapi, Cristofaro e Celi avrebbero rappresentato l’articolazione catanzarese della “locale” di Cutro guidata dal potente boss Nicolino Grande Aracri; agli altri tre, si contestano singoli tentativi di estorsione ad imprese operanti nel quartiere marinaro.
In tutto nove gli episodi ricostruiti dai Carabinieri tra la primavera e l’estate del 2013.
Un periodo nel quale Mellea avrebbe già assunto il ruolo «di capo della “cellula criminale” operante nella provincia di Catanzaro, fidatissimo referente – sostengono gli inquirenti – nella provincia di Catanzaro di Nicolino Grande Aracri, capo del sodalizio di ‘ndrangheta denominato “locale” di Cutro».
Che il proprio “controllo” fosse esteso fino a Lido, ma anche a Squillace, lo ammette lo stesso boss in una conversazione captata dagli inquirenti e finita nel decreto di fermo eseguito all’alba di mercoledì scorso dai Carabinieri e firmato dai sostituti procuratori Vincenzo Capomolla e Domenico Guarascio otre che dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri; Nicolino Grande Aracri si esprime in questi termini: «Se Antonio in Botricello mi ha detto che quelli di Botricello sono sotto a noi… a Cropani… a Catanzaro si può dire… si può dire che sono tutti sotto a noi». E ancora: «Ora noi dobbiamo… dobbiamo mettere qualche cosa… Noi dobbiamo decidere cosa si deve fare, noi tutto!».
Affermazioni che, incrociate con vari riscontri investigativi, consentono alla Dda di annotare che «in modo inequivocabile nell’ambito della città di Catanzaro si è costituito, sotto l’egida di Nicolino Grande Aracri, un gruppo criminale guidato da Gennaro Mellea che appare sostanzialmente satellite alla cosca di ‘ndrangheta di Cutro».
Gli inquirenti sono infatti convinti che i cutresi avrebbero esteso il loro controllo sul capoluogo, «considerato da tempo per le consorterie criminali un vuoto da riempire».
Il decreto di fermo delinea la presunta organizzazione del gruppo, le gerarchie interne, gli obiettivi e le strategie criminali pianificate per raggiungerli, «nella specie attraverso una serie di danneggiamenti, incendi e altri atti intimidatori funzionali a rendere diffuso uno stato di soggezione e la percezione, nei destinatari delle intimidazioni, in particolare le imprese operanti nel capoluogo e territori contermini, della loro riconducibilità, per la serialità dei fatti e il collaudato metodo, all’operatività di una cosca di ‘ndrangheta che esercita il controllo del territorio, e finalizzati anche ad imporre un diffuso sistema estorsivo, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo, che si manifesta nella reiterazione dei danneggiamenti contro le imprese in piena attività in nell’ambito territoriale di Catanzaro».
gazsud (g.l.r.)