È iniziato ieri a Catanzaro il processo d’appello a carico degli otto imputati coinvolti nell’inchiesta antidroga denominata “Varenne”, scattata il 6 agosto 2012 contro una presunta associazione dedita prevalentemente al traffico di ingenti quantità di marijuana e hashish, operante a Catanzaro e provincia e con canali di approvvigionamento nella Locride e anche a Napoli, che in primo grado hanno chiesto il giudizio abbreviato.
Il sostituto procuratore generale, al termine della propria requisitoria, ha chiesto di confermare la colpevolezza degli imputati, applicando tuttavia alcuni sconti di pena in virtu’ dell’ultimo recente intervento legislativo in materia di stupefacenti, che ha appunto previsto pene meno lievi per le ipotesi di spaccio.
Dopo le prime arringhe difensive (fra gli altri degli avvocati Antonio Lomonaco, Antonio Nocera, Antonio Speziale) la Corte d’appello ha rinviato al 30 settembre per gli ultimi interventi degli avvocati (fra i quali Arturo Bova, Salvatore Staiano, Piero Chiodo, Alessandro Guerriero) e la sentenza. Il primo grado per gli otto imputati si è concluso il 28 novembre scorso, con otto condanne parziali – a pene comprese fra 8 mesi e 3 anni e 8 mesi di reclusione -, e quello stesso giorno altre sei persone sono state completamente assolte.
L’operazione “Varenne”, condotta dalla Guardia di finanza, scattò alle prime luci dell’alba del 6 agosto 2012 per l’esecuzione di un’ordinanza cautelare emessa dal giudice di Catanzaro, Maria Rosaria di Girolamo, su richiesta dei sostituti procuratori Simona Rossi e Vincenzo Capomolla, a carico di dieci indagati – sette finiti in carcere, due ai domiciliari, tra i quali un donna (cui è stata contestata la cessione di dosi di cocaina in cambio di prestazioni sessuali da parte di un minorenne), ed uno sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria -, dopo quasi tre anni di indagini, partite nell’estate del 2009. Secondo la tesi dell’accusa, il gruppo criminale ricostruito nell’inchiesta, che sarebbe stato capeggiato da Rhama Ungaro – all’epoca dei fatti gestore di un autolavaggio a Roccelletta di Borgia utilizzato anche come luogo di incontro e smercio -, avrebbe acquistato per anni droga nella Locride e nel Napoletano per poi rivenderla nell’hinterland del Catanzarese, tenendosi al riparo dai controlli grazie ad un collaudato sistema di “auto staffetta”, che accompagnavano i mezzi carichi di droga precedendoli, in modo da segnalare eventuali pattuglie delle Forze dell’ordine presenti lungo il percorso. (AGI)