C’è un calcio che parla al cuore della gente. È il calcio che ricorda Carlo La Forza a tutte le latitudini. Sulla Gazzetta dello Sport, sulla Voce del Canavese o su UsCatanzaro.net. Fuori da uno stadio “rivale”, il Santa Colomba di Benevento, o dentro uno stadio amico, quello di Barletta. È il calcio degli Ultras Catanzaro che decidono di non appendere neanche uno striscione a Lecce, tranne un piccolo lenzuolo artigianale intriso di lacrime portato dagli amici di Carlo, e poi gliene dedicano uno lunghissimo la domenica successiva durante la partita del Pisa. È il calcio in cui una società, il Catanzaro, vuole fortemente e ottiene di giocare con il lutto al braccio per commemorare un tifoso.
È il calcio di alcuni ragazzi del liceo scientifico di Lamezia Terme che disegnano su un banco a scuola l’azione del gol di Fioretti a Lecce nel ricordo di Carlo. È il calcio di Massimo Sabatini, di sua moglie Roberta e della piccola Vittoria, di Pieve a Nievole, provincia di Pistoia. Il tifo in famiglia è per la Juventus, ma leggono la storia di Carlo, contattano il club Palanca e decidono di tesserarsi ringraziando il club e UsCatanzaro.net per aver raccontato questa storia di calcio universale che va oltre la fede calcistia. È il calcio degli amici di Nocera Inferiore che hanno in mente il bellissimo progetto di giocare una partita di calcio tra tifosi prima di Nocerina-Catanzaro del 13 ottobre, in onore di Casimiro, capo ultrà rossonero, e di Carlo, che ultrà non lo è mai stato, entrambi portati via da un male incurabile.
Ma tutto questo non sarà possibile. Perché c’è anche un altro calcio. È il calcio di gruppi di persone che all’interno di un recinto di gioco, che dovrebbe essere presidiato dalla società ospitante, minacciano, offendono e aggrediscono i calciatori della squadra avversaria sotto gli occhi di steward quantomeno distratti. È il calcio che porta il Giudice Sportivo a costringere la Nocerina a giocare a porte chiuse, impedendo di fatto ai sostenitori del Catanzaro di assistere alla partita più attesa e di rinsaldare uno storico gemellaggio tra le tifoserie.
È il calcio di arbitri scadenti che trasformano una partita corretta in una corrida con 4 espulsioni e 7 ammonizioni per mascherare la propria mediocrità. È il calcio dei calciatori-idoli che perdono la testa con la scusa di un arbitro pessimo e scalciano gli avversari scatenando un putiferio in campo e sugli spalti. È il calcio di ragazzini e papà magari in giacca e cravatta che lanciano bottiglie dalle tribune, senza che nessuno faccia niente per impedirlo.
È il calcio in cui una società come il Catanzaro deve ancora crescere. Perché se si condannano i tifosi che lanciano le bottigliette, si deve avere il coraggio di andarli a prendere per il colletto visto che la vigilanza all’interno dello stadio è demandata proprio alla società. E se si dice di «voler rilanciare un’immagine che negli anni è stata offuscata», è meglio omettere che la multa di 7.500 euro «vanifica sostanzialmente l’incasso al botteghino». Ed è meglio multare i calciatori che sbagliano, presentare in silenzio i ricorsi e dotarsi di una figura dirigenziale che sappia farsi ascoltare e rispettare, lavorando sotto traccia, nei palazzi che contano. Piuttosto che sbandierare pubblicamente, anche sui social network, bellicose intenzioni di ricerca della giustizia. Quale giustizia poi?
Ivan Pugliese