Il vero miracolo del nuovo corso Cosentino, non è l’aver evitato al Catanzaro il derby contro il Soverato o l’aver agguantato la Prima divisione a meno di dodici mesi dal suo arrivo in città. Non è neanche l’aver allontanato per sempre -con costosissimi colpi di spugna peraltro- i fantasmi di tutta una schiera di poveri diavoli travestiti da calciatori o affaristi senza portafogli. E, anche se fatico a scriverlo, non è neppure l’aver marcato una differenza netta tra la sua gestione e quelle che si sono succedute negli ultimi decenni. Il vero miracolo di Cosentino si è materializzato limpidamente in questa settimana, dopo una sconfitta di misura in inferiorità numerica sul campo di una squadra senza grande tradizione: il Latina. Dalla notte di venerdì, in ogni città d’Italia (ma abbiamo ricevuto messaggi da mezza Europa e anche da Oltreoceano) ovunque ci fosse almeno un tifoso del Catanzaro, hanno cominciato ad accendersi focolai di discussioni tecnico-tattiche. Il 3-4-3 può andar bene con questo organico? Ci manca forse un elemento sulla fascia destra? Come sfruttare le potenzialità del nostro attacco? Roba del genere non si ricordava da secoli. In altri tempi si sarebbe parlato di giocatori venduti, stipendi non pagati, accordi sottobanco: oggi no, oggi è solo calcio. Non si emozioni troppo dunque, chi deve raccontare quotidianamente le vicende del Catanzaro: nessuna contestazione in vista. Tutto questo fermento è il risultato di una generale disabitudine: alla sconfitta innanzitutto (era da dicembre che il Catanzaro non perdeva in campionato), agli affari di campo, alle grandi ambizioni. Le sconfitte non piacciono a nessuno, eppure bisognerà farsene una ragione: esistono. Quanto più importanti saranno i tornei che il Catanzaro si troverà a giocare, tanto maggiori saranno le probabilità di andare incontro ad una sconfitta. Si vince, si pareggia, si perde. Non so per voi, ma per me quest’ovvietà -dopo Poggi e Parente, dopo Pittelli, Soluri, Bove, Aiello, Santaguida e dopo i rischi Quartaroli e Di Vincenz – ha il gusto meraviglioso di un’inossidabile certezza.Le questioni di campo si risolvono in campo. Sarà Mister Cozza a trovare la soluzione ai problemi che le prime due giornate di campionato hanno evidenziato. E non sarà un forum, un articolo di giornale, o i megabytes che compongono l’insieme dei pezzi sul Catanzaro sparsi nella Rete, a far tremare i polsi ad un allenatore che ha sempre mostrato un gran carattere. Poter esprimersi, anche in maniera colorita, in un caffè, dentro il salone del barbiere, alla fermata dell’autobus o attraverso una tastiera, sulla posizione di Fiore e Masini è l’essenza del calcio non giocato visto dalla parte del tifoso. Che se la godano, i tifosi giallorossi tutti, questa essenza:dopo anni di dissertazioni pseudogiuridiche su fideiussioni e fallimenti se la sono proprio meritata.Le grandi ambizioni, infine. Il tifoso catanzarese negli ultimi trent’anni ha sempre pensato in un’ottica di breve periodo. Si sperava di vincere i play off in modo che questo o quel “potenzialmente solido azionista” si avvicinasse al Presidente di turno evitando il fallimento. Si guardava ad una promozione come all’unica ancora di salvezza. Si voleva tutto e subito per evitare il nulla imminente. Ecco spiegate le straordinarie montagne russe emozionali sulle quali adoriamo tormentarci. Siamo disabituati all’ambizione, a quell’attitudine di lungo periodo che non muta al primo soffio di vento. Il Presidente Cosentino è uomo ambizioso, ciò risulta abbastanza chiaro in ogni sua pubblica dichiarazione. E negli uomini ambiziosi la sconfitta sortisce sempre effetti positivi: aiuta infatti a comprendere gli errori commessi e a trovare i rimedi. Era un freddo pomeriggio di Coppa Italia di Lega Pro, quando il Patròn giallorosso dichiarò di voler arrivare in Europa con il suo Catanzaro. Se ne uscì con quella frase senza che nessuno ci avesse mai neanche pensato. L’Europa era lontanissima, come oggi, ma un po’ di più. Da allora, come un mantra, nei momenti di entusiasmo collettivo, lo stadio ripete in coro “Cosentino portaci in Europa“.Non si tratta di presunzione o tradizionalissima e tipica gargia, c’è ancora molto da fare, c’è ancora tanto da crescere. Quel coro è tutto ciò che rende il pallone così importante per noi catanzaresi. Non è la meta, è il viaggio. È il tornare a casa dopo un lavoro che non si ama, l’essere lontani dalla propria città e dai propri affetti, l’addormentarsi il sabato di una lunga notte, pensando che una delle poche cose immutabili nella vita di un uomo, la propria squadra del cuore, se ne sta al sicuro. Roba che neanche con cento Latina si può cancellare.
Fabrizio Scarfone