Se lo dicono pure gli esperti, forse occorre rassegnarsi. Tre giorni fa , a Rimini, al meeting di Cl, l’amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni ha detto che la «miscela esplosiva» fatta di caro petrolio, dollaro in aumento e accise farà crescere ancora i prezzi. Una facile previsione alla quale il numero uno del cane a sei zampe ha voluto affiancare un numero impressionante. In un anno i consumi dei prodotti petroliferi sono crollati del 9%. «Una cosa mai vista – ha riconosciuto il manager – segno che la gente soffre in modo particolare in questo momento». Sì, d’accordo. Il greggio vola e la moneta americana si apprezza.
Ma mai come in questa circostanza il principale responsabile dell’annunciato sfondamento di quota 2 euro per litro di benzina ha lasciato la sua impronta sul detestabile record. E si tratta del fattore tasse.Nel giro di 16 mesi, i due governi che si sono succeduti al timone del Paese (Berlusconi-Monti) hanno manovrato la leva fiscale in maniera quasi compulsiva. Otto aumenti delle accise sui carburanti (con relativo effetto trascinamento dell’Iva ) da aprile 2011 ad agosto 2012. Una politica, non nuova peraltro, che ha surriscaldato i prezzi. L’ultima amara sorpresa per gli italiani il 10 agosto scorso, alla vigilia del ponte di Ferragosto.
Dopo due mesi di tregua (l’ultimo incremento di 2,42 centesimi, Iva compresa, era stato fatto a giugno per coprire parte dei danni del terremoto emiliano ), l’Agenzia delle dogane, con una mossa fulminea (anche se prevista dalla legge di Stabilità del 2012 ) aveva infatti deciso un ulteriore aumento delle accise sui carburanti. Un ritocco in alto di 4,2 euro per mille litri. Un incremento che (compreso il fattore Iva, che pesa per il 21% ) si era tradotto in un aumento istantaneo di 0,51 centesimi al litro.
Una operazione, aveva spiegato il governo, necessaria per rendere strutturale il bonus fiscale introdotto nel 2011 in favore dei 24 mila gestori di carburanti. Ma anche per coprire la riscossione agevolata delle imposte nelle zone terremotate dell’Abruzzo. Dove da gennaio, dopo uno stop di quasi tre anni, hanno ripreso a pagare le tasse. Però con sconti fino al 60% e in 120 rate mensili.
Certo, due settimane fa è stato garantito che l’aumento avrebbe avuto efficacia fino al termine dell’anno.
Ma intanto, per effetto di quell’intervento (in grado di assicurare 65 milioni di entrate aggiuntive per le casse dello Stato ), le aliquote sulla benzina sono salite da 724,20 a 728,40 euro per mille litri e quelle sul diesel da 613,20 a 617,40 euro per mille litri. E così, dall’inizio del 2011, le accise sulla benzina, senza tenere conto dell’effetto moltiplicatore dell’Iva, sono aumentate di 16,44 centesimi, mentre quelle sul diesel di 19,44. Secondo l’Unione petrolifera, nel 2011 le entrate, per le casse dello Stato, sono arrivate a quota 37,2 miliardi (più dell’Irap, che finanzia parte del servizio sanitario nazionale ), con un aumento del 6,3% rispetto al 2010.
E il ministero dell’Economia ha reso noto che, a forza di salassi alla pompa, solo nei primi due mesi del 2012, si è registrata una crescita aggiuntiva di entrate di 800 milioni di euro. I dati che si leggono sul sito del Ministero dello sviluppo economico dicono che accise e Iva (con un peso triplo della prima sulla seconda ) rappresentano circa il 60% del prezzo del carburante. In pratica, per un pieno di benzina da 50 euro, solo 20 euro saranno destinati a rifornire il nostro serbatoio. Il resto sono tasse.
La storia è vecchia ormai 77 anni. Non c’è dramma che non abbia trascinato con sé un sacrificio. Tra alluvioni, terremoti, missioni militari e altre improvvise esigenze finanziarie, le accise sui carburanti sono state aumentate ben 22 volte (per un rincaro complessivo indicizzato di 40 centesimi al litro ). Ogni volta, il governo di turno promette che il rincaro rientrerà. Poi l’esperienza insegna che non sempre succede.
E infatti gli automobilisti pagano ancora i residui dell’imposta di 1,9 lire per il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935, parte delle 14 lire per fronteggiare la crisi di Suez del 1956 e le 10 lire per il finanziamento del disastro del Vajont del 1963. Agire sulle accise di fabbricazione dei carburanti è un sistema semplice per fare cassa senza dare nell’occhio. L’accisa non è evidenziata nelle fatture, pur essendo quota di rilievo sul prezzo. E non colpisce il valore del prodotto ma la quantità del bene. E quello, in tempi brevi, non scende mai. Così il gettito è assicurato.
Fonte: Michele Di Branco Il matino.it