Cosa volete che ci capisca di calcio un ragazzino che per anni ha visto i suoi benianimi con il naso infilato in un quadretto di ferro verde e nero dalla ruggine?
Da quella posizione si spostavano le pezze con le dita, si vedevano pochi schemi appiattiti dalla prospettiva, ma si capiva abbastanza per accorgersi se una maglia era sudata o se era ancora ben stirata alla fine del primo tempo, o quando si calciava un calcio d’angolo. Questo è il primo concetto di calcio che ho fissato in me. Nonostante il vento che asciugava l’umidità, le maglie rosse erano vive di sudore già dopo i primi dieci minuti di gioco; diventavano pesanti fardelli di lana, con la “nr” cucita. I palloni a scacchi rotolavano lenti rispetto ad oggi, erano gonfiati ad aria compressa, ed il cuoio era duro. Spesso sulle cosce dei difensori vedevi del rosso a quadretti, non era la prospettiva della rete di cinta.
Ci sembrava un tempio sacro. Gli allenamenti di mattina fuggiti dalla scuola, le solite persone sempre presenti, i bagni laggiù in basso che ci sapevano di fine primo tempo. I gradini dell’uscita su cui commentare i goal mancati nell’intervallo delle gare, la fatica per ritornare giù alla rete; ci si impiegava almeno 4 o 5 minuti dalla calca che c’era, ma come facevamo a stare cosi stretti gli uni agli altri senza che succedesse mai niente di grave?
Il Comunale (o vecchio Militare), era lì senza riflettori, senza posti numerati, senza bagni funzionali, eppure tutto funzionava alla perfezione (o quasi), ed i posti dei “grandi” erano tutti assegnati. Ad ogni partita vedevi le stesse facce nelle stesse posizioni con le stesse imprecazioni; ogni benedetta domenica pomeriggio!
Immancabile il lancio dei rotoli e la distribuzione delle fettucce di carta. Gli estintori ed i fumogeni della “Calabro” o delle “FS di Lido”. I vuoti che si creavano almeno due o tre volte a partita… “cchi è? … no nenta si minanu” e finiva li. La curva che si svuotava a cinque dalla fine per adare a “salutare” i tifosi ospiti, quando le cose andavano male in campo. L’attesa per i video della Domenica Sportiva e “Sassi” che faceva vedere tutte le azioni dubbie, meno quelle dei giallorossi. I goal di Massimè che speravamo potesse concorrere come goal più bello della Domenica, ed i soliti cinque minuti di gloria quando tutta Italia rivedeva le azioni delle Aquile in televisione. Geometrie offensive che passavano per i piedi del regista e sacrifici per difendere in 8 o in 9. Si giocava con semplicità e si marcava ad uomo.
Poi la B, ed anche la C, ed ancora la B e quasi quasi anche la A di nuovo. I riflettori, ed andando avanti fino ai tempi nostri, i vetri, i tornelli ed i seggiolini con i posti numerati ed assegnati. I viaggi per seguirlo anche dal Nord dove ci si trasferisce per lavorare, e gli incontri con le facce di sempre che da ragazzino vedevi sempre lì ogni benedetta domenica. “Per chi tifi?“. “Catanzaro“. Ed i più giovani che ribadiscono “sì, ma in serie A?”, ed io “Catanzaro“. La solita risposta secca, che rende l’interlocutore spaesato; ed il solito più esperto che aggiunge per non offenderti: “sì, Massimo Palanca, me lo ricordo…“!
Altri tempi, altri modi di fare. Allora il Catanzaro era una fede e non si discuteva. Oggi, oggi tutto questo dopo Poggi e Parente è stato messo seriamente in discussione, e mi sembra lontano anni luce. Cinque anni senza abbonamento e un’assenza rabbiosa non ancora sopita. Non so cosa si proverà al rientro della prima trasferta dopo l’esilio volontario. Quest’anno, un abbonamento fatto sulla fiducia, mai utilizzato, e la prima partita che vedrò sarà fuori casa. A coloro che ci hanno creduto anche quando quelli come me non volevano più saperne, dico che nel momento sportivamente più infamante della nostra storia, io non ho voluto essere complice di nessuno, nel bene, come per voi che avete continuato a seguire, e nel male. Sono rimasto coerente con le mie idee, fino a prova contraria, ho sofferto per voi per il Flaminio, ma anche in quel caso ero in esilio e non ho partecipato. Nel bene e nel male. Ed oggi ecco la prova contraria, il signor GICOS!
È trascorso molto tempo, è nata una bimba lontana dal Ceravolo, ha due anni. Venerdì scorso, per puro caso, nello scegliere i colori delle ali della farfallina da disegnare ha afferrato con la sua manina un pennarello giallo ed uno rosso. Quando vede un aquilone lo confonde ed intona “Achile, Achile, Achileeee”. Sarà un caso tutto questo? Forse la sua manina non sposterà qualche pezza per vedere un calcio a quadretti che non esiste più, ma gli auguro che crescendo quando qualcuno le chiederà “Per chi tifi?”, lei possa ricordare le ninne nanne che qualcuno gli cantava da piccolina, e rispondere fieramente, “ Il Catanzaro”.
Il Catanzaro esiste, non è un punto di vista!
DP