Per chi non lo sapesse, Giulianova si trova in Abruzzo, s’affaccia sul medio Adriatico ed è uno dei quarantasette comuni della provincia di Teramo. Qui, secondo l’ultimo censimento, vivono oltre ventitremila persone e ben tre calciatori di fama nazionale: Franco Tancredi, ex portiere di Roma e Nazionale, Moris Carrozzieri centrale tutta forza, mondanità e gel per capelli ora al Lecce, Cristiano Del Grosso, terzino di proprietà del Siena. Bisogna scriverlo subito, se questa partita si fosse disputata tra maggio e giugno, Giulianova avrebbe rappresentato una delle tappe irrinunciabili del campionato. La cittadina abruzzese è infatti una meta turistica di tutto rispetto. Giulianova Lido possiede una larga spiaggia di sabbia finissima, un mare premiato quasi ogni anno con la celebre bandiera blu, un porto in grado di servire oltre duecento imbarcazioni e una pista ciclabile utile e funzionale (ma quella dell’ippo-auto-dromo di Viale Isonzo è un’altra cosa, lo sappiamo). Nelle sere d’estate, le decine di alberghi pieni di turisti e i locali chiassosi sul lungomare – lontanissimi per progettazione e gestione dalle baraccopoli nostrane – garantiscono ore piacevoli e divertenti. D’inverno purtroppo, ogni luogo di mare fa scorta di malinconie in attesa di un’altra stagione calda. Dunque anche a Giulianova non è tempo per creme solari, occhiali scuri e camicia hawaiana. E’ il momento del Babbo Natale rocciatore, quello tristemente arrampicato su qualche ringhiera condominiale, come un’agile topo d’appartamento qualsiasi. Lo stadio, che sia inverno o estate, rimane comunque sempre lo stesso: è il Rubens Fadini con una capienza che va poco oltre i 4mila ma con una storia piuttosto singolare. Fadini fu un promettente calciatore nato in provincia di Ferrara. Un mediano tecnico e moderno che negli anni ’40 si era meritato le attenzioni del Torino e qualche giudizio lusinghiero nientemeno che di Valentino Mazzola. Morì a ventidue anni con i suoi compagni granata nell’ormai tristemente noto schianto aereo sulle colline di Superga. Il nome di Fadini fu scelto dalle autorità giuliesi non per un qualche legame tra il povero calciatore e la città abruzzese ma semplicemente per un’estrazione. Proprio così, oggi lo stadio di Giulianova è il “Rubens Fadini” solo perchè un ragazzetto bendato pescò dentro un’urna il nome di quel ventiduenne tra quelli dei 18 giocatori del Toro deceduti. Un breve giro in città, vi permetterà di osservare scorci davvero interessanti oltre che lo splendido duomo di San Flaviano che a suo modo – il nome non tradisce mai – fu anch’egli un tronista (Santo Patriarca di Costantinopoli). Secondo la leggenda, le ossa di San Flaviano, originariamente dirette a Ravenna, arrivarono fortunosamente sulle coste abruzzesi. Attorno a quelle ossa si formò un primo nucleo, non un camposanto come sarebbe lecito immaginare ma un borgo: Castel San Flaviano. Il gruppo degi Acquaviva fu estremamente importante per Giulianova, un po’ come il gruppo Gicos per Catanzaro. Con le ceneri della vecchia Castel San Flaviano ancora fumanti, e le urla degli invasori ancora nelle orecchie delle vittime (provate a ragionare un po’ per allegorie) Giulio Antonio Acquaviva fu invitato dal re Ferdinando – si fosse chiamato Michele sarebbe stato troppo – a riedificare la vecchia San Flaviano. Il nobile Giulio accettò, ma fece partire la ricostruzione a pochi metri di distanza dal vecchio centro abitato, sopra un terreno posto a 70 metri sul livello del mare. Fu allora che nacque la Giulianova moderna. Gli Acquaviva arrivarono ad influenzare finanche la cucina locale. Pare che la potente famiglia fosse una straordinaria amante della buona cucina, tanto da introdurre la figura dello “chef”. Un cuoco ricercatore capace di sbalordire gli ospiti. Una caratteristica della cucina degli Acquaviva, e non soltanto di Giulio Antonio, ma anche dei suoi successori, è quella di essere presentata con le etichette rassicuranti di “afrodisiaca” o comunque “stimolante” tanto da passare ai posteri come cucina afrodisiaca degli Acquaviva. Alcune ricette sono conservate presso la Biblioteca “Bindi” di Giulianova. Oggi i tempi sono cambiati e c’è da scommettere che se incontrerete un erede degli Acquaviva non vi chiederà di pranzare alla sua tavola per testare una delle ricette erotiche di casa. E tuttavia consolatevi: oggi si gustano straordinarie prelibatezze pure in assenza di avi illustri, potete mangiare da Re anche senza mai aver avuto un papa in famiglia. La cucina giuliese è inevitabilmente cucina di mare. Vongole, cozze, scampi, sogliole e tutti i pesci dell’Adriatico dominano i menu, ma con qualche interessante variante. Per esempio “Lu capelomme“, una lonza ricavata dalla lombata di maiale, che viene “rivestita” di budella suina. “Lu capelomme” viene fatto stagionare, inizialmente, sotto il camino, al fumo del “tecchio”; in un secondo tempo viene portato in un locale privo di umidità, dove viene lasciato fino a stagionatura completa. Le fette di lonza sono disposte sul piatto dell’antipasto tipico abruzzese. E ancora le “Fregnacce“, della gustosa sfoglia ripiena di carne, salsiccia e uova. I vini abruzzesi, infine, sono tra i più gradevoli d’Italia. Montepulciano, Trebbiano, Cerasuolo…sembrano fatti apposta per brindare. Mister, stappiamo?
Al prossimo anno!
Fabrizio Scarfone