«Mister, verrà anche Cassano?». «No Francesco, Cassano non può venire».
Periferia di Rizziconi, viscere della Calabria, distese di uliveti punteggiate di ipermercati, una ventina di bambini su un campo di calcetto. L’allenamento dei pulcini della Rizziconese procede ritmato dal clangore di ruspe e transenne. Gli operai stanno spianando i dossi, rimuovendo i rifiuti e montando recinzioni e tribune per domenica, quando sullo stesso campo giocherà la nazionale di calcio.
È la prima volta che accade: gli Azzurri in Calabria per «dare un calcio alla ‘ndrangheta» su un terreno confiscato alle cosche, aderendo all’invito di don Luigi Ciotti, anima dell’associazione antimafia Libera. Renato Naso, canuto allenatore con trascorsi da calciatore di promozione, quando ha saputo non voleva crederci. «A luglio mi telefona un vigile urbano: Rena’, hai sentito? La Nazionale a Rizziconi. E io: ma smettila. Cinque minuti dopo arrivo al campo e mi ritrovo in diretta su Sky».
Il campo dove ora corre il piccolo Francesco e domenica correrà Balotelli si trova in contrada Li Morti. Il terreno apparteneva alla cosca Crea, senza la quale non si muove foglia a Rizziconi, 8 mila abitanti più centinaia di immigrati clandestini che raccolgono agrumi tra Rosarno e Gioia Tauro. Nel 1994 la Procura sequestra l’appezzamento di 3,7 ettari su cui la ‘ndrangheta puntava a realizzare una lucrosa discarica. Nel 2000 la Cassazione rende definitiva la confisca e lo dona alla città. Nel 2002 il Comune, sciolto per infiltrazione mafiosa, passa sotto la guida dei commissari della Prefettura, ai quali non par vero di poter utilizzare a scopo sociale quel terreno. Con 200 milioni di lire realizzano campo di calcetto e spogliatoi, che nel 2003 lasciano in eredità al nuovo sindaco.
Ma i politici locali non paiono entusiasti dell’iniziativa. Il campo è pronto, ma resta chiuso e abbandonato per quattro anni. I Crea fanno paura: nessuno si fa avanti per utilizzarlo. In compenso, diventa teatro di attentati e devastazioni. Quando cade la giunta comunale, tornano i commissari. Vanno a vedere che ne è stato del campo e scoprono reti divelte, muri crollati, porte spaccate e chiodi arrugginiti che spuntano dal tappeto di erba ridotto a un velo di sabbia. Decidono di rimetterlo in sesto e nel 2007 il campo che ancora non ha visto una partita conosce la sua seconda inaugurazione.
I commissari lasciano ancora una volta il Comune. Ma per evitare che riprendano il sopravvento paura, omertà e abbandono, l’associazione Libera contatta Naso, collaboratore scolastico che nel pomeriggio si diverte a insegnare calcio ai bambini. Lui non ci pensa due volte («Paura? Mai avuta»): ha sempre sognato di avere un campo tutto suo. E che campo: l’erba è tornata soffice e c’è anche l’illuminazione artificiale. Tanto che aumentano le iscrizioni: oggi sono 130 i bimbi della scuola calcio, da 5 anni a 18 anni. L’allenatore ha anche trovato tre aiutanti, perché cinque campionati comportano anche trasferte contemporanee. «Certo, ci manca un pulmino, chissà che la Nazionale non ci aiuti a comprarlo, anche di seconda mano».
Il pulmino non è l’unico problema. Rizziconi non ha una palestra e il campo grande, dove gioca la prima squadra, è un pantano da protezione civile. Ma i baby calciatori, con le tute stirate e le magliette fino alle ginocchia, sono una speranza in un paese dove a 18 anni si rischia di morire come Francesco Inzitari: dieci colpi di pistola in pizzeria perché la sua famiglia era finita in affari sporchi e non aveva rispettato i patti. A vedere la Nazionale ci saranno mille persone, per lo più ragazzi. Posti limitati, troppe richieste e tanti delusi. «Non sarebbe bastato San Siro», ride Fabrizio Gallo, il commissario che regge il Comune (nel frattempo è caduta un’altra giunta) e ha organizzato l’evento. Tra gli spettatori i ragazzi del quartiere Zen di Palermo e i genitori di Dodò Gabriele, il bambino ammazzato nel 2008 a Crotone mentre giocava a calcetto: l’obiettivo dei killer era un picciotto che aveva sgarrato, ma la pallottola fu deviata dalla rete metallica e colpì il bambino davanti al padre che gli aveva lasciato il posto in campo. «La Nazionale qui viene per rappresentare lo Stato», spiega il prefetto di Reggio, Luigi Varratta. Per questo il Viminale si è impegnato. «Negli ultimi anni magistrati e forze dell’ordine hanno raggiunto enormi risultati contro la ‘ndrangheta militare, ma saranno inutili senza fermenti nella società civile».
Nella zona grigia c’è anche il pallone. Giusto due mesi fa è stata pronunciata la prima sentenza di confisca di due società sportive, la Rosarnese e l’Interpiana: secondo il giudice di primo grado erano in mano alla cosca Pesce, una delle più potenti tanto da voler acquisire anche squadre in altre regioni. «Il calcio è fondamentale per tre ragioni: consenso sociale, controllo del territorio e riciclaggio di denaro sporco – racconta Michele Prestipino, procuratore aggiunto dell’Antimafia -. E la ‘ndrangheta è come un parassita: una volta che entra in un organismo non esce più».
Anche per questo i calci della Nazionale sono così attesi. Nel frattempo, sul campetto di Rizziconi, si corre e si sogna. Il piccolo Francesco torna in panchina e alza lo sguardo: «Mister, ma viene anche Ibrahimovic?». «France’, che c’entra Ibrahimovic?».
(Fonte: lastampa.it – articolo di GIUSEPPE SALVAGGIULO)