Fischi in teatro. Non è certo la prima volta che accade. Si registrano in genere quando l’esibizione è talmente mediocre da irritare il pubblico pagante. Nei fischi che ieri () la città ha indirizzato alla propria “classe imprenditoriale” c’è sicuramente questo, e c’è molto altro ancora. C’è innanzitutto un generale senso d’insofferenza che viene da lontano e che neanche il sindaco Traversa, attraverso i rituali ringraziamenti per i soliti corposi contributi, ha potuto sopire. Una città piccolo borghese come Catanzaro, lo sappiamo, non è storicamente incline alle manifestazioni di protesta. Ed è per questo che i fischi di ieri devono essere attentamente valutati. L’ennesimo disimpegno della “grande” imprenditoria cittadina dalla gestione diretta del patrimonio più intimo della comunità, questa volta deve aver rotto qualcosa, lasciando un segno profondo. Si è avvertita una frattura evidente fra i cittadini comuni e i rappresentati del cosiddetto “tessuto produttivo”: esponenti di una fascia di cittadini intesa sempre più come “casta”, capace di tutto tranne che di impegnarsi in un progetto per l’interesse collettivo. E se per questioni molto più serie e generali la misura non appare ancora colma, sul tema Catanzaro si è superato il limite da un pezzo. Per questa ragione, i tifosi tutti, liberi dal cappio al collo della necessità quotidiana, ieri hanno sonoramente fischiato, mettendo per qualche momento in difficoltà anche il primo cittadino (che conoscendo bene la sua città è apparso sorpreso, quasi disorientato). In ogni comunità che si consideri tale, coloro che detengono buona parte della ricchezza sono anche depositari di un certo numero di aspettative. Ovvio che sia così. La consuetudine delle attività pro bono nasce proprio in relazione a queste aspettative e non soltanto per materiali questioni fiscali o per la sensibilità che i più ricchi amano riconoscersi. A Catanzaro, per almeno un decennio (ma negli ultimi cinque anni con più forza) è stato chiesto ai detentori della ricchezza di rilevare la squadra di calcio cittadina. Non si aspirava necessariamente a un proprietario unico, un paperone disposto a sacrificare i capitali accumulati in una vita. Anzi, la soluzione azzardata dalla politica (ricorderete la storia dei quattro moschettieri Colosimo, Gatto, Noto, Speziali al 25%) era stata colta da tutti con entusiasmo e calore. Ma neanche quella modalità di intervento deve essere apparsa soddisfacente. Eppure quei quattro imprenditori hanno offerto spesso una qualche sponda rilasciando interviste, indicendo conferenze stampa poi dimenticate e partecipando ad infruttuosi quanto estenuanti tavoli istituzionali. Gli operatori economici cittadini a questo punto possono decidere di continuare come nulla fosse, di mostrarsi sordi all’eco di quei fischi. Possono continuare ad accumulare ricchezza e a crogiolarsi nell’idea di essere una parte fondamentale e benvoluta della comunità. Possono farlo, certamente che possono. Almeno fino a quando non si renderanno conto del solco profondo (lesivo innanzitutto dei propri interessi) scavato fra loro e i cittadini. Oppure possono decidere di interrogarsi, per una volta, sul proprio ruolo e sulle scelte strategiche degli ultimi anni, decidendo poi in qualche modo (ma tutti sappiamo come) di invertire la rotta. Vedremo, e tuttavia la vicenda non appassionerà più di tanto: oggi il Catanzaro ha una proprietà. Una proprietà che i più alti vertici istituzionali del nostro territorio garantiscono essere solida. Una proprietà che consente di ignorare la “grande” imprenditoria autoctona e i suoi dubbi amletici. Oggi il Catanzaro ha in dote un progetto che non aspettiamo altro di poter cullare come una creatura, ha tifosi “incazzati”, affamati di partite e allenamenti, di calciatori e di tasferte. Giuseppe Cosentino, il prossimo presidente, ieri ha già ricevuto un lungo applauso. In termini di suggestioni, il patròn di gicos ci ha regalato poco finora. Solo qualche foto, solo qualche battuta. Bene così. Questa città ha bisogno di un Presidente distante, i cui uffici siano praticamente inaccessibili. C’è bisogno di un numero minimo di parole, quelle giuste possibilmente, e di contatti. C’è bisogno di una prospettiva per il futuro. La tifoseria sa che chi ha toccato il fondo, non può pretendere la luna da chi gli ha teso la mano per rialzarsi e perciò chiede soltanto che la stretta sia salda a sufficienza da rimetterla in piedi.Una società solida, con un progetto sano ed ambizioni anno dopo anno più alte. Una società che rispetti innanzitutto la dignità della storia giallorossa, ieri così amabilmente ripercorsa. Ecco cosa è giusto chiedere. Buon lavoro Presidente, i tifosi giallorossi saranno pronti a riprendere il cammino, a macinare chilometri di cemento e di sogni. Partita dopo partita. Allenamento dopo allenamento. Biglietto dopo biglietto. E ora parliamo di pallone…
Fabrizio Scarfone