Ore 22.35 del 2 ottobre 1971. Dalla stazione di Sala si mette in marcia un’intera città. Destinazione Torino, la città-simbolo dell’immigrazione operaia, per l’esordio in serie A contro la Juventus, la squadra degli Agnelli, della Fiat. È il coronamento del sogno di una comunità, di un’intera regione. Il momento del riscatto sociale di un popolo di emigrati che si ricongiungono per un giorno coi loro familiari arrivati per vedere il Catanzaro battersi contro la squadra che diventerà a fine stagione campione d’Italia. Le emozioni di Juventus-Catanzaro nel racconto di un ragazzo di 14 anni, Salvatore Rosi, partito da solo in treno e ritrovatosi insieme ad altri 25.000 fratelli giallorossi nello stadio dei sogni.
Red
_____________________________
Sono passati tre mesi dalla conquista della serie A. Ancora non ci credo. Ho 14 anni. Tutto è bello. L’atmosfera è surreale. Catanzaro sembra la città della felicità. La settimana che precede la prima giornata, e la prima trasferta in serie A del Catanzaro, vola via. E già si parla della seconda partita con l’Internazionale. Ci si chiede se quegli eroi di operai, che faticano giorno e notte al “Militare”, finiranno i lavori in tempo per l’esordio casalingo.
L’ATTESA IN CITTÀ – Da lunedì 27 settembre a sabato 2 ottobre in città esiste solo una questione: come arrivare a Torino. La Juve ci aspetta. La mia mente va a quell’aereo speciale: a bordo un grande tifoso, Don Ciccio Aiello. Molti pullman sono pronti a partire: i primi due sono Regolo (detto Gori), il secondo Meleca. Poi quelli degli altri rioni: Pontepiccolo, Lido, Stadio e via dicendo. Tanti i torpedoni organizzati da Reggio, Soverato, Vibo, Cosenza, Crotone, Isola. Insomma, tutta la Calabria vuole essere presente alla prima del CATANZARO IN SERIE A. Le edicole in quei giorni sono favolose. Sempre piene. Tutti vogliono una copia del Corriere dello Sport e dei quotidiani nazionali. Non si scherza: si parla del nostro Catanzaro.
UN RAGAZZO DI 14 ANNI – Con l’aiuto di mio padre, mio fratello e mia nonna, riesco ad avere il biglietto del treno per Torino, destinazione stadio Comunale; una costruzione fantastica, un teatro visto solo in tv. Devo affrontare da solo il viaggio perché mio padre non può accompagnarmi. Sono un ragazzo di 14 anni. Solo. Almeno fin quando arrivo alla famosa stazione di Sala, attaccato alla mano di mio padre. Non sono più solo. Ci sono tanti amici di famiglia con i loro figli. Tutti fratelli giallorossi. Prima di partire, le raccomandazioni di papà. Ho ancora negli occhi il suo sguardo quando il treno comincia a muoversi; mi prende un groppo alla gola. Poi un grido “Forza giallorossi!”, tanto per farmi coraggio, ma dura poco perché entriamo subito in galleria. Mi metto seduto e la mia mente corre più veloce di quel treno: è la mia prima trasferta da solo da serie A.
2 OTTOBRE 1971, ORE 22.35 – Nel treno i cori per i giallorossi sono continui. Si sentono brindisi, canti popolari e il fumo di centinaia di sigarette. Cerco di dormire ma non ci riesco. Ogni tanto mi aggiro per i vagoni. L’espresso per Torino si ferma in tutte le stazioni. Chiedo a un signore quando arriveremo. Con una faccia buffa mi dice “e mò partimmi”. Quattordici ore di viaggio: poi ad aspettarmi i miei zii alla stazione e la Juve allo stadio. Intanto i rumori dentro il treno si attenuano, il silenzio cala come neve. La mia mente comincia a pensare: “Siamo in serie A, ma come faremo a giocare contro la Signora del calcio? Quantu golli ni fannu? Signura meu, domana viu a Salvadore, Haller, Spinosi, Cuccureddu, Anastasi, Bettega. Mamma mia e comu avimu e fara? Speru ma Pozzani domana ma sapra, comu fussera bellu nomma perdimu. Ti figuri chi succeda dintra u stadiu…”. Prego, ma già so che usciremo sconfitti. Mi consolo dicendo: “vabbè, nui simu na squadricedda, iddi sunnu mostri”. Il portiere è Carmignani, ci sono Capello, Marchetti, Morini. Ogni volta che penso a un nome mi s’izanu i pilorci. Però mi basta recitare “Pozzani, Maldera, Zuccheri, Pavoni, D’Angiulli, Banelli, Gori, Spelta, Mammì, Franzon, Braca, Ciannameo, Bertuccioli, Silipo, Benedetto, Bertoni, Carella, Bassi”, e mi riprendo.
I SOGNI DI UN POPOLO – Nelle altre carrozze si parla dei calabresi al nord. Con fierezza. Qualcuno dice “Ma u sapiti ca mi telefonau fratimma e mi dissa ca domana ci sunnu chiu calabrisi ca juventini e ca dintra tutti i fabbrichi si parra sulu do Catanzaru, i giornali parranu ca domana a Juventus ava nu cuntu in sospesu cu u Catanzaru”. E un altro risponde: “Sè, averamu ma vincimu comu in coppa”. Io ascolto e prego. Il treno cammina sempre troppo lento. Si sentono i binari, il vento e non riesco a dormire. Non ho l’orologio e ogni tanto chiedo l’ora. Ma la risposta è secca: “Dorma ca sinnò domana cu cazzu tifa? Riposati”. Ma io non riesco a chiudere occhio. Ogni tanto provo ad appisolarmi, ma appena chiusi gli occhi il treno si ferma in qualche stazione.
FORZA CATANZARO, FORZA IL SUD – Passiamo da Paola, Salerno, Napoli. Qualcuno grida: “guagliò forza, nui simmu u sud”. Partiamo da Napoli che sono quasi le 3. Finalmente mi addormento. A svegliarmi da un sonno che mi sembra lungo un’eternità è l’amico a cui mio padre mi ha affidato, Totò: “Siamo vicino a Firenze”. Allora vado al bagno, prendo lo zainetto, lo apro. Mia madre l’ha riempito di cioccolata e biscotti. Intanto ripartono i cori e le urla: “Catanzararuuuuuu capoluogo ‘e serie A”, “Giallorossi giallorossi”, “Pepè, tu vivi natru?”, “porta a suppressata, veni cca, aspè”. In pochi minuti gli scompartimenti diventano delle osterie. Sembra una grande famiglia. Ci conosciamo tutti. Un signore ad ogni bicchiere di vino brinda “ala saluta ‘e don Nicola”. Parla del presidentissimo Ceravolo. Il viaggio continua felicemente. Quel treno ora sembra correre più forte. “Forza, Torino ci aspetta”.
03 OTTOBRE 1971, DOMENICA – Si sta avverando il sogno di un’intera regione. Più il treno si avvicina alla meta, più il mio cuore batte forte. “Guagliò, appena arrivamu vicinu Torinu avimu e fara u tifu. Mi raccumandu avimu e gridara tutti”. Esaltazione e canti: “Eranu tri squadruni ccu 47 punti…”, “Calabrisella mia”, “Catanzaru cià cià cià”. Nel treno non si capisce più niente. All’arrivo alla stazione di Torino, uno spettacolo irripetibile. La gente si affaccia dai finestrini con le bandiere, grida e canta. Riesco a mettermi all’angolo di un finestrino. Vedo la stazione piena di bandiere giallorosse e tanta gente che saluta. Inizio a piangere: questa è un’altra Calabria, a migliaia di chilometri da quella vera. Il treno si ferma e tutti scendono cercando i parenti che non vedono da anni. “Fra’ vidisti a pepè”, “Totò veni cca”, “U vi duv’e Marcellu”. Resto seduto per terra ad aspettare i miei zii che vengono da Legnano, mentre la gente si stringe e piange. Quando arrivano, baci e abbracci commossi. Io sono sangue del loro sangue, mi ripetono.
TORINO È GIALLOROSSA – Saliamo in macchina verso lo stadio. Cammino guardando a destra e a sinistra. La strada è dritta, piena di semafori. Ad un incrocio un gruppo di persone sventola le bandiere giallorosse. Mio zio Pino si affaccia dal finestrino: “cumpa’ e duva siti?”, “calabrisiiiiiiiiiii”, “allora forza catanzaru”, “si si forza catanzaruuuuuuu”. Tremante di felicità, sventolo con orgoglio una bandiera, regalo di mio zio. Ci fermiamo in un bar, un grande bar. Fuori tanti calabresi con trombe e bandiere giallorosse. Non ho ancora visto niente. Guardo tutta quella gente che si è data appuntamento lì per rivedersi. “Fra’ comu stai? Chi si dicia a Catanzaru? E l’amici comu stannu? A mamma e u papà chi dicianu? E Cicciu si spusau? ‘Nculu, u sapisti ca Totò ava natru figliu? E su 5 Rafe’… Mamma comu mi mangera nu morzeddu… dissa a mamma ca si scindi ti nda fa na coddara”. Poi altri due: “Senti si tu? Dimmi, ma si veramente tu? Sì, mannaia veni cca ma t’abbrazzu”. Si abbracciano forte, si baciano. Due amici si sono ritrovati grazie al Catanzaro.
VERSO IL “COMUNALE” – Ormai non sto più nella pelle. Voglio andare subito allo stadio, ma vedo solo gente gioire, cantare, ballare la tarantella. È fantastico. Ad un certo punto qualcuno grida: “JAMUNINDA GIALLOROSSI”. La partita si avvicina e ricominciamo a parlarne: “Puru ma perdimu 2 a 1 va bonu”. Io invece non voglio perdere. C’è anche chi dice: “E comu fannu ma fermanu ad Anastasi? Joca Haller, c’è Capellu”. A un signore rispondo: “Nui avimu a Maldera, a Spelta, a Franzon”, “E sì, pero iddi hannu na difesuna cu Spinosi, Salvadore, Morini. Comu facimu ma signamu?”. Ad un tratto vedo lo stadio. Resto con gli occhi sbarrati sia per la grande struttura sia perché fuori è un trionfo di colori giallorossi. Davanti ai cancelli una lunga fila. Finalmente entriamo al “Comunale”. Eccola la Juve.
“DIO MIO” – I miei occhi sono spalancati davanti a qualcosa che forse non rivedrò più. Lo stadio di Torino è un mare di giallo e di rosso. Poche le bandiere della Juventus. Mi metto a urlare, poi sento la mano di mio zio che mi dice: “Perché stai piangendo?”. “No zio, non sto piangendo, sono solo felice”. Allora non c’erano ancora gli ultras e tutto si inventava sul posto. Si sentiva “giallorossi giallorossi”, “forza Catanzaruuuuuuuu”, “W ‘a Calabria”, “forza jammu jammu vattimu sti mani”, “resteremo resteremo in serie A”. Ogni tanto una scazzottata, ma finiva subito lì.
FINALMENTE JUVE-CATANZARO – Le squadre scendono in campo e le mie gambe tremano. Sento un boato, poi solo tante bandiere giallorosse che sventolano impazzite. I miei occhi non riescono a guardare tutto perché è tutto meraviglioso. Fischio d’inizio. Si comincia a giocare. La palla sempre in possesso della Juve. Prego che tutto possa andare bene, ma i bianconeri fanno paura. Anastasi è un diavolo: per fermarlo servono le maniere forti. Haller è una scheggia. Bettega salta di testa facilmente, ma il nostro reparto difensivo resiste. Il mio cuore batte forte, come l’incitamento dei tifosi calabresi. Dopo 30 minuti il Catanzaro resiste. Addirittura la Juve resta in 10 per l’espulsione di Capello, colpevole di un fallo di reazione su Franzon. Ma al 34’ Anastasi porta in vantaggio i bianconeri. Il popolo calabrese non si disunisce. Anzi il tifo e le imprecazioni si moltiplicano. Finisce il primo tempo 1 a 0 per la Juve, ma il Catanzaro non merita di perdere.
4-2 MA VINCE IL CATANZARO – Durante l’intervallo penso e spero che i nostri possano arrivare al pareggio. Nel secondo tempo il Catanzaro sembra più sveglio. Ce la giochiamo, ho fiducia. Ma la mia fiducia svanisce in due minuti. Dal 64’ al 66’ la Juve dilaga con Haller e Bettega. Alzo gli occhi e vedo quella marea di tifosi calabresi che sventolano ancora le loro bandiere. Ad un tratto un boato: rete di Spelta. È solo il gol del 3 a 1, ma sembra il gol del vantaggio giallorosso. I cori si fanno sempre più possenti. Ora crediamo in una rimonta, ma purtroppo palla al centro e altro gol di Bettega. “Mannaiaaaaaaaaaaaaa”, si sentono solo imprecazioni e urla di sconforto. Mentre sono sovrappensiero il Catanzaro si avvicina alla porta della Juventus. Ancora un boato: il piccolino Gori, “nu metru e cinquanta”, segna di testa. Apoteosi. Il Catanzaro dei “poveri” ha rifilato due reti alla grande Signora. La tristezza lascia felicità. “Abbiamo fatto due reti alla Signora del calcio italiano”. Quando l’arbitro fischia la fine della partita, con gli zii ci avviamo verso l’uscita. Sui volti dei tifosi calabresi restano scolpite le emozioni di questa giornata. Mi aspetta un lungo viaggio in macchina durante la settimana. Destinazione l’Inter.