Il Rompicalcio

Figli dell’Effeccì

44 anni fa la finale di Coppa Italia, oggi una domenica di vergogna a prescindere da un risultato che non interessa a nessuno

Correva l’anno 1966. Provasi; Marini, Lorenzini; Maccacaro, Tonani, Sardei; Vanini, Marchioro, Bui, Gasparini, Tribuzio. Proprio un rigore di Tribuzio aveva consentito ai ragazzi in giallorosso, allenati da Dino Ballacci, di violare il Comunale di Torino, superando la Juve di Herrera e regalando al Catanzaro la prima e unica finale di Coppa Italia contro la Fiorentina. Questi undici leoni, a metà classifica in serie B, non riusciranno nell’impresa all’Olimpico di Roma. Non basterà un gol di Pippo Marchioro. Sarà un rigore di Bertini a 10 minuti dalla fine del secondo supplementare a sancire la fine di un sogno. Ma a fine partita il presidente Ceravolo alzerà ugualmente orgoglioso il trofeo per il secondo posto insieme a capitan Gasparini (scomparso per un infarto nel 1979, ma inserito nella lista delle morti sospette di SLA).

Tante persone hanno visto, vissuto, sentito raccontare queste pagine in bianco e nero, queste imprese epiche, questo Catanzaro orgoglio del Sud con la maiuscola. Altre persone hanno semplicemente sognato di far parte di questa epopea, di essere per un attimo sugli spalti dell’Olimpico a vedere una finale di Coppa Italia con il Catanzaro in campo. Cinque anni dopo l’ultima apparizione contro il Livorno di Lucarelli, il canto del cigno dell’US Catanzaro, un’allegra nidiata di ragazzini è pronta a rivestire quella gloriosa casacca. Come quella indossata da Palanca nella semifinale contro la Juve del Trap nel ’79. O come quella vestita da Sabato nella drammatica semifinale con l’Inter di Bersellini del 1982.

Un’accozzaglia di dirigenti senza un soldo bucato, una classe politica incapace e senza coraggio, una realtà (im)prenditoriale pavida e/o connivente regaleranno stasera a tutte le persone che almeno per un minuto hanno sentito parlare, sognato o amato il Catanzaro una delle peggiori umiliazioni della storia della città. Una giornata che farà allontanare ulteriormente il Catanzaro dalla sua gente. Una giornata durissima a prescindere dal risultato. A noi di UsCatanzaro.net il risultato non interessa. Domani verrà scritta una pagina indelebilmente nera. Uno schiaffo ai cittadini che dopo aver regalato una barca di soldi alla loro squadra – senza avere la possibilità di scegliere se farlo o meno – scoprono oggi che la società naviga ancora in un mare di debiti. Non sanno che fine abbiano fatto i loro soldi, per cosa siano stati spesi, perché la Tribuna Gianna non dia conto del lavoro svolto (anche se qualche piccola crepa nel “muro di gomma” sembra arrivare con l’intervista dell’assessore Talarico alla Gazzetta del Sud).

Nel frattempo Soluri, Bove, Aiello, Ferrara e gli altri ci vorrebbero propinare una formazione agghiacciante. Scerbo; Basile, Gatto, Di Meglio, Gaglione; Gigliotti, “Benny” Benincasa, Cittadino, Ferrara; Catalano, Santaguida. In panchina: Cristofaro, P. Benincasa, Bronzi, Levato, Critelli, Bove e Carrozza. I bardi dell’Effeccì si affannano a tessere le lodi di questa accozzaglia di ragazzini, guidata da Cittadino, che si allena da qualche giorno in uno stadio sporco, senza luce, senza acqua e senza futuro. E che domani sarà sculacciata sonoramente dal gloriosissimo Sorrento, sempre che il pullman non trovi troppo traffico e riesca ad arrivare in tempo. Noi ci auguriamo di no. I ragazzini non c’entrano niente, per carità. Ma la lettura del probabile undici iniziale ha provocato ribrezzo nei tifosi del Catanzaro che lo ritengono un trionfo di nepotismo con una spruzzata del peggior passato.

Ed effettivamente più che una squadra, sembra un verbale di un’assemblea dei soci o di un consiglio d’amministrazione dell’Effeccì. Tutto lecito, per carità, ma non è il Catanzaro. È solo il loro giocattolo. Il volto più brutto di Catanzaro, piegata anche nel calcio al sistema del “figlio di”, del “nipote di”, del “cugino di” che hanno fatto diventare la Calabria fanalino di coda e periferia estrema d’Europa. Figli di presidente, figli di soci, cognomi noti, qualche sfortunata omonimia (Bove), pupilli di Improta con una pensione a vita pagata dai contribuenti catanzaresi, il povero Benny solo in mezzo al campo. Intanto, i grandi campioni dello scorsa stagione usano i certificati medici per ottenere rescissioni consensuali e andarsene lontano da questa babele giallorossa, dove forse non riceveranno più umiliazioni. Lasciandole a noi. A chi comunque non si arrende e non vuole vedere la maglia giallorossa – marchiata dal fango della gloria di mille battaglie – sporcata dal fango di una domenica di vergogna.

Ivan Pugliese

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