(Immagine realizzata da marko, utente forum di UsCatanzaro.net)
La povertà non è un vizio; ma la miseria, la miseria è vizio. Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati; nella miseria, invece, nessuno mai la conserva
Fëdor Dostoevskij
Vogliate perdonare il titolo chiaramente poco ortodosso, ma è stato ispirato dalla storia dell’omicidio di Nicola Duro che per quanto significativa appare, invece di qualche polemica politica per pochi “eletti”, dovrebbe innescare un moto d’indignazione e ribellione collettivo tale da muovere Catanzaro e tutti catanzaresi verso una nuova epoca. Se credete ancora di abitare in una città tranquilla, e per molti anni avete ritenuto utile barattare diritti e opportunità con un concetto non ben definito di “vivibilità”, non perdete questa ricostruzione degli inquirenti – confermata integralmente dalle risultanze di preziose intercettazioni ambientali- capace di coinvolgere in un solo colpo, a vario titolo e con differenti gradazioni di inumanità, almeno sette “persone”. Eccola.
In città, nella nostra città, c’è un giovane ragazzo che stringe una relazione con una donna sposata. Nulla di strano, succede ovunque ogni giorno e ormai anche a Catanzaro è cosa ordinaria. Il marito di questa donna però, non è una persona qualsiasi, ma un criminale rom che sconta la sua pena in galera. La relazione fa notizia, il passaparola la diffonde e, come nelle classiche storie di mafia prima o poi avviene, qualcuno decide di ristabilire l’onore del boss carcerato uccidendo l’uomo che lo ha “violato”. L’uomo in questione, probabilmente avvisato in tempo, fugge dalla città rendendosi introvabile. Una mossa disperata ma efficace che consente di realizzare l’altro elemento tipicamente mafioso di questa storia: la vittima designata diventa infatti Nicola Duro, idraulico incensurato di 26 anni. La sua colpa? Essere il marito della zia dell’amante della donna del boss. Assurdo, come solo una vendetta trasversale può esserlo.
A questo punto abbiamo due mandanti, che probabilmente intendono conquistare o mantenere la fiducia del boss in galera, ed un esecutore materiale (figlio dei mandanti). Ma ci sono anche altre due persone che rendono questa storia significativa come poche altre. Si tratta di due tizi che per 600 euro (500 euro uno, 100 l’altro) decidono di condurre con un pretesto Nicola Duro nel luogo in cui verrà ucciso a colpi di pistola. Pensateci un attimo: seicento (anche a scriverlo per esteso non si riesce ad attenuare il disgusto) euro. Ovviamente non esiste cifra che possa valere la vita di un uomo, ma quei 600 euro sono come un colpo di spranga sulla nostra debole e dormiente coscienza civica. Se in una logica criminale di stampo mafioso (a proposito, bastano la vendetta trasversale e la difesa dell’onore a colpi di pistola a convincere gli scettici della connotazione mafiosa di questi gruppi?) l’omicidio di Nicola Duro diventa quasi comprensibile, le motivazioni di questa complicità a basso costo restano molto più oscure. Tanto oscure che non basta la povertà a spiegarle.
Forse bisogna ricorrere a Dostoevskij, lo scrittore russo, e credere che si tratti semplicemente di miseria. Già, la miseria. Quella condizione, ben diversa dalla povertà, che inchioda l’uomo nel punto più basso che possa raggiungere e lo rende capace di esistere senza i sentimenti propri della condizione umana. La miseria è forse più pericolosa della mafia perché in grado di espandersi facilmente come un’epidemia: rapidamente e senza distinzioni. A Catanzaro esistono sacche di miseria che non possono più essere ignorate e che l’indifferenza (ecco la terza “M”, quella meno ortodossa ) dei più contribuisce ad allargare e rafforzare. La miseria ha molte forme, non è un problema di quartieri, origini, cognome. Dalla miseria non ci si protegge nella propria villetta al mare o i montagna, la porta di casa in un condominio rispettabile non è un ostacolo in grado di fermarla. E non bastano un bellissimo parco o un teatro per arginarla.
Catanzaro deve guardarsi in faccia e fare i conti con le proprie questioni irrisolte. I catanzaresi devono cominciare diventare comunità e a darsi peso in quanto collettività, come avviene ormai in tutti i luoghi evoluti del mondo. E devono farlo prima che sia troppo tardi per ogni rimedio. Prima che il sonno decennale del capoluogo si trasformi in coma, prima che le tre “M” prendano il posto delle tre “V”.
FS