Notte prima del 13 giugno. I credenti giallorossi si affidano a Sant’Antonio che ieri sera ha fatto la grazia al Padova di Cuffa. Gli atei tirano fuori pazzeschi risultati dagli annali impolverati della storia pallonara. E allora la mente corre al famoso 5-0 di Coppa con la Lazio, se vogliamo un po’ una sorellina di questa Cisco dei Ciaccia. Oppure pensano al “Ceravolo” come a un piccolo Riazor. Con il Deportivo Catanzaro che prende a pallonate la Cisco. Del resto Incocciati è un ex milanista.
Si parla di riscatto. Gli undici giuda giallorossi sarebbero tentati dalla follia. Si discetta di quattro attaccanti in campo, ma Caputo è a Roma già da 6 mesi ormai. Il Catanzaro non ce le ha più quattro punte da schierare. E allora si vocifera di un Di Maio spostato a centrattacco. Ecco, appunto. Un’impresa impossibile. Un miracolo laico. Una follia su un prato verde, spelacchiato per l’incuria nonostante mesi di piogge.
Una piccola parte di tifosi giallorossi ci crede. È giusto così. È calcio, sarebbe calcio, se non ci fosse stato il “Flaminio”. Il pallone è rotondo, che ne sai se dopo 7 minuti siamo in vantaggio e dopo 20 siamo 2-0? Certo, magari è più facile che Franchini, dopo 5 minuti, riprenda il discorso lì dove si era interrotto a Roma. Una grandinata di gol che ha reso inutile il ritorno di domani. La gente non ci crede più, anche se in fondo al cuore un minimo di speranza a strisce giallorosse c’è. Almeno finché una squadra a strisce giallorosse sarà in campo. Ecco, fino a quando?
Domani alle 18, avremo la notizia che il Catanzaro non sarà riuscito a sfatare il tabù play-off neanche al 6°giro. Altro giro, altro regalo, stavolta alla Cisco. E di conseguenza non sarà riuscito ad ottenere la promozione in C1 neanche al 16° tentativo. Capita. Sempre a noi, ma capita. Ma domani, e nei prossimi giorni, la partita più importante si gioca lontano dal “Ceravolo”. Si gioca senza maglietta giallorosa, ma in giacca e cravatta. La salvezza del Catanzaro e il suo futuro sono appesi a un filo. Nonostante l’indubbio impegno, sfociato a volte in un protagonismo esagerato, i tavoli e i tavolini istituzionali non hanno ancora cavato un ragno dal buco. Anzi, dalla voragine in cui il Catanzaro è sprofondato senza riuscire più a risalire. E il fallimento della squadra giallorosa sarebbe un altro fallimento della città e della sua classe politica.
Claudio Parente, Massimo Poggi, Giancarlo Pittelli, Giuseppe Soluri, Pasquale Bove, Antonio Aiello e personaggi di contorno vari. Ci siete voi dietro ai fallimenti del Catanzaro, ai lodi, alle ricapitalizzazioni creative, ai debiti, alle sconfitte nei play-off, alle umiliazioni di una tifoseria meravigliosa, incosciente, ma ormai massacrata da anni di partite perse e di sospetti. Personaggi che ancora si aggirano, a vario titolo, intorno alla carcassa morente dell’effeccì. Con la gentile compiacenza di viscidi guitti, pronti a compiacere padroni passati, presenti e futuri, con una penna o una bandiera in mano.
UsCatanzaro.net, in questi giorni, ha cercato di sostenere una e una sola causa: quella di una società vera, con una proprietà forte, capace di costruire un futuro solido, fondato non solo sui soldi, ma sulle capacità gestionali e sul merito. Una società che ci consenta di parlare di calcio serenamente, anche in quarta serie. Non lo abbiamo fatto per piaggeria, ma esclusivamente perché ritenevamo di interpretare il pensiero dei nostri lettori, del popolo giallorosso. Il nostro endorsement è andato verso un’unica direzione, quella dei 4 moschettieri (Colosimo, Gatto, Noto, Speziali in rigoroso ordine alfabetico). Le altre ipotesi ci sembravano e continuano a sembrarci solo goffi tentativi di proseguire le logiche fallimentari degli ultimi 20 anni; subdoli giochini per ostacolare possibili soluzioni serie; o, nel migliore dei casi, un modo generoso e confusionario di provare a salvare il Catanzaro.
Abbiamo raccontato tutto quello che è successo intorno ai tavoli. Con serietà e serenità. Ma consapevoli che il fallimento era l’unica ipotesi alternativa a una società forte. Con la stessa serietà e serenità vi ripetiamo oggi che non ci sono altre soluzioni rispetto a quella dei quattro big della città. Tutte le cordate, vere, finte, singole, inventate sono fallite. Al massimo, per cercare di sopravvivere almeno fino al 30 giugno, si potrà convincere qualcuno a ricapitalizzare la parte di quote residue, non coperte dagli attuali soci. Ma l’unica speranza vera è che i 4 moschettieri mettano una mano sulla coscienza e l’altra sul portafogli. Comprendano quanto questa città abbia dato a loro e alle loro famiglie. Il calcio non è altro che una piccola parentesi domenicale in una città che vive sette giorni di problemi sociali più grandi e più gravi. Ma è anche una città che muore, capoluogo decadente di una regione sempre più periferia d’Europa. E il calcio potrebbe tornare a essere quel simbolo di riscatto che era negli anni settanta. Pensateci ancora una notte. È solo un sogno. O forse no…
Ivan Pugliese