Nel nuovo Museo Marca (Museo delle Arti Catanzaro) visitatori di ogni età si aggirano incantati dai colori, e dalle forme singolari che Mendini ha voluto dare alle pareti che ospitano la sua mostra. Architetto, designer, artista, umanista, nato a Milano nel ’31, Mendini ha saputo insinuare fra le maglie del rigore e talvolta grigiore di design e architettura funzionali una ventata fresca, un soffio di vitalità, di colore e di innovazione. L’ha fatto dagli Anni 70 in poi, con una buona dose di ironia, in tandem con Ettore Sottsass, e sulla base di riletture e ripensamenti delle avanguardie storiche e di figure a lui care come Kandinsky, Balla, Depero. L’intento era e rimane conferire agli oggetti un aspetto familiare, sentimentale, rispolverando l’affettività che ci lega a essi ogni giorno.
Girando nelle vaste sale, fra le 70 opere (mobili, oggetti, dipinti, sculture, schizzi, progetti, selezionate dal curatore Alberto Fiz), si rivedono con entusiasmo oltre 40 anni di esperienze che paiono originate da un giovane d’oggi. Pensiamo ad esempio alle forme smisurate, ibride, improbabili, ai Global Tools inventati nel 1973, vicini all’Arte Povera. Oppure a esperienze come il Controdesign e agli Anni di Alchimia con Sottsass e De Lucchi, fino all’Utopia. Fra le pareti dipinte incuriosisce il falò della sedia in legno (frammento del primo esemplare bruciato), accanto alla Sedia-Terra, a Scivolavo, la seggiola inclinata verso terra, e stupisce il famoso Monumentino da casa che si trasforma in trono quasi beffa alla banale sedia domestica.
Né manca Lassù, dove il monumento è celebrato enfaticamente. Segue il «Redesign», con interpretazioni di celebri manufatti quali la Vassilj di Breur, agghindata con nuvole colorate, e la Thonet con appoggio blu e palline rosse legate a fili. A dominare è la poltrona Proust dalle forme rococò, fra le sue creazioni più amate, dipinta con mille e mille puntini colorati alla Seurat e Signac. Stimola la riproposta d’una nota performance del 1976 con musica di Davide Mosconi: un abito a maglia rosa e viola che contiene la musicista che suona l’arpa, una living sculpture, la musica scaturisce da una forma lontana.
Nella sala accanto non può mancare il Divano Kandissi che ripensa Kandinsky nel colore e forme, né la credenza Anni 40 rielaborata dall’amato artista russo. Depero si insinua ovunque in mobili, decori, disegni, mentre campeggia il Mobile infinito 1981, grande oggetto con tavolo, comodino, letto, credenza, senza fine nella tipologia e negli autori coinvolti, da Chia, Clemente, Paladino, De Maria, Denis Santachiara, e Giò Ponti, Bruno Munari, Veronesi. Nel finale, «Nuove Utopie», Mendini spiega che all’oggetto spetta produrre un pensiero prima d’una funzione, poi una possibile sintesi come utopia. Prevalgono allora tre colossali creazioni in oro, fuori misura, Scarpa, Giacca, Mobile per uomo e infine Visage Archaique (dalla parigina Fondazione Cartier) ripensata dai Moai, statue monolitiche dell’Isola di Pasqua.
ALESSANDRO MENDINI, ALCHIMIE
CATANZARO MUSEO MARCA
FINO AL 25 LUGLIO