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Lâabbiamo cercata tutti la data
di questa partita quando è uscito il calendario. Senza accorgercene,
inconsciamente, gli occhi che scivolavano rapidi sulla varie
giornate si sono improvvisamente fermati quando hanno incrociato alcuni
nomi ben precisi. Sora, per esempio. E abbiamo ripetuto a bassa voce la data, e abbiamo aspettato
che quel flash finisse, che le immagini svanissero dalla nostra mente. Non câè
bisogno di aggiungere altro, né di scendere nei dettagli, abbiamo
tutti gli stessi ricordi, perché il Sora è rimasto
sempre qui, ben conficcato nella nostra memoria, perché il Sora
non è una squadra di calcio. Il Sora è una cicatrice
dellâanima.
          Roma era bellissima in quella serata
di giugno, bellissima e piena della nostra bella speranza. Sciamavamo
entusiasti per le strade del centro, e ci raggruppavamo intorno a un locale o a una persona. Venivamo da tutta lâItalia e
con tutti i mezzi. Il mio amico Maurizio, conÂ
la complicità di un insospettabile avvocato e di un suo sospettabile
guardaspalle, aveva compiuto il blitz che ci inorgogliva
e che ci apriva le porte dello stadio di Sora. Non
avevamo che da scegliere i colori del viso e il nome del ristorante, tutto il
resto era organizzato, tutto il resto ci sembrava già scritto.
       E tutto procedeva nel migliore dei
modi, Sora era solo giallorosa, nel ristorante i
brindisi si rincorrevano e qualcuno lanciava âIl Catanzaro
si sta portando avanti â¦â, e io sentivo che eravamo tornati. Sora è stata anche la giornata del nostro orgoglio, la
sensazione che avevamo resistito, che le avversitÃ
avevano cambiato il nostro tempo ma non avevano scalfito la nostra passione. E
quando nel mezzo della partita lo stadio fu scosso dal primo GIA, mi sembrò
quasi di non capire, poi venne LLO e allora sentii quel brivido unico che non
provavo da un altro giugno, un giorno leccese colmo di inutile felicità , e poi infine ci furono RO e SSI a dirmi
che quelli eravamo noi, noi che ci riprendevamo il nostro futuro, noi che
cancellavamo con un urlo tutto quello a cui ci avevano costretto. Meritavamo di più e quel di più stava arrivando. Per quella
domenica ci potevamo accontentare di un ottimo zero a zero.
     Sul balcone della mia casa di
Firenze in quei giorni è ricomparsa una bandiera giallorossa
che marciva da innumerevoli anni sotto la polvere di uno stanzino. Questo è il
mio ricordo e solo di questo posso parlare. Non so altro. Credo che poi ci sia
stata anche una partita di ritorno, suppongo giocata a Catanzaro. Ma io non câero e non ho mai saputo niente. Nessuno me ne ha
mai parlato per cui non deve essere stata importante. O forse è la mia memoria ad essere molto selettiva e a
difendermi da quello che non potrei sopportare, forse è proprio così, la mia
memoria seleziona brutalmente e mi protegge dalle ferite troppo profonde.
Ma
mi piace che sia così. Sora
è una splendida cittadina del Lazio, molto accogliente e con una squadra di
calcio che gioca con la maglia bianco e nera. Sora è una cicatrice della mia anima che lentamente
sbiadisce grazie al passare del tempo e allâeffetto delle vittorie. Un giorno
mi ricorderò solo di Piero che camminava accanto a me
sotto il sole caldo di giugno, del vino rosso di quel ristorante nascosto in un
violetto e della mia bandiera che era tornata a ondeggiare nel vento. Quel
giorno mi farò raccontare da qualcuno cosa è successo in questa benedetta
partita di ritorno. Prima ci vogliono altre cento vittorie. Quella di domenica
vale doppia.
Nicola Fiorita