Legato ai contenuti della “Trilogia dell’ignoranza” edita da Bompiani – Siamo una massa di ignoranti..parliamone (2006), Non è stato facile cadere così in basso (2008), All’appello mancano…anche i presenti (2009) – l’ultimo spettacolo di Oreglio si presenta come una sorta di grande contenitore nel quale l’artista colloca, in una serie di quadri d’autore, dissertazioni, osservazioni e analisi satirica della realtà.
Lo show propone una sorta di stato dell’arte dell’Oreglio pensiero, attraverso la messa in scena di monologhi e canzoni che hanno come leit motiv i grandi temi da sempre a lui cari: filosofia, scienza e religione. Tra parole e musica, prosa, letture e canzoni, Oreglio racconta e analizza il tema dell’ignoranza e di tutto ciò che gli ruota intorno: linguaggio, comunicazione, informazione, potere e ribellione, accompagnandoci così in un viaggio divertente, poetico e politico (nel senso più nobile del termine) verso la riscoperta dell’uomo nudo nelle sue relazioni essenziali con gli altri, con il mondo e con se stesso, l’uomo che, per sopravvivere alle mille sollecitazioni a cui è quotidianamente sottoposto, si butta nella ossessiva ricerca di risposte per rendersi conto, solo successivamente, dell’errore nascosto nelle domande.
Da sempre contrario alla risata fine a se stessa, al concetto del “ridi per non pensare” Oreglio ci dimostra ancora una volta il significato che ha per lui lo spettacolo: pensare giocando e giocare pensando.
Divertissement raffinato e riflessione quindi, in un’alternanza di momenti che vedono la trattazione di temi sociali, politici e filosofici, lasciare improvvisamente spazio alla musica e al piacere di sorridere insieme. C’è spazio per tutto: per i sogni, i pensieri, i ricordi, per gli eroi e le persone comuni; d’altro canto, parlare, sognare, discutere, analizzare e ridicolizzare sono le uniche armi a disposizione dei non violenti per resistere in un mondo così confuso e convulso come quello di oggi.
Per raccontare tutto questo, Oreglio sceglie una cornice scenografica scarna ed essenziale e un linguaggio semplice ma incisivo. Così facendo, si riallaccia alla tradizione del teatro canzone delle origini, ma anche ad alcune istanze del “teatro povero” di Jerzy Grotowsky e del teatro politico di Dario Fo, riscoprendo intuizioni tipiche del teatro sperimentale, prima fra tutte la ricerca di un contatto emozionale e diretto con il pubblico.
Questa scelta precisa e coraggiosa, lontana dalla tradizione classica, dagli effetti speciali e dai canoni ufficialmente riconosciuti, è continuamente cercata, studiata e voluta. L’obiettivo è infatti quello di creare una scena “spoglia” per lasciare spazio alla dimensione della parola che, come un universo, può espandersi in un monologo o esplodere come un micro big bang nella brevità di un aforisma o di un epigramma per momenti ludici fatti di pensieri in libertà.