Quando si parla di rombo a centrocampo ci si riferisce allo scacchiere tattico del 4-3-1-2 dove le due mezzali si muovono (in linea) a metà strada fra il vertice basso (il play da cui si innesca la costruzione della manovra) e il vertice alto, cioè il trequartista che gira fra le linee avversarie.
Per mettere in piedi questo modulo servono giocatori con precise caratteristiche soprattutto nel terzetto avanzato, dove oltre alla presenza di un trequartista (che non è un ruolo proprio semplice) è necessario che le due punte siano capaci di giocare anche sull’esterno oltre ad avere l’attitudine a finalizzare la manovra.
Non è il classico modulo che spiega la sua efficacia nell’ampiezza e per questo motivo un altro tassello fondamentale del puzzle è costituito dai due terzini, che devono avere una fisicità straordinaria per coprire le fasce in entrambi le fasi.
Fra le peculiarità del rombo ci sono il possesso palla con immediata verticalizzazione, la capacità di aggressione alta, quella di ri-aggressione in caso di transizione negativa e infine un’attenta fase difensiva che costituisce il nodo cruciale delle squadre che applicano questo modulo.
Non sono molti gli allenatori ad utilizzare questo tipo di impostazione e la motivazione è duplice: da un lato non è semplice trovare calciatori con le caratteristiche necessarie in tuti i ruoli principali, dall’altro occorre mantenere un’intensità di gioco sempre molto alta per arginare gli avversari che prediligono il gioco sulle corsie esterne.
La Juventus di Marcello Lippi
Quando si parla della Juve più forte di tutti i tempi si fa riferimento a quella allestita da Marcello Lippi nella sua prima parentesi bianconera.
Marcello è stato il primo allenatore italiano a vincere le massime competizioni internazionali a livello di club e di nazionale, primo allenatore a guidare una squadra imbattuta per 31 partite ufficiali, primo allenatore italiano per finali di champions disputate.
Una carriera stellare culminata con la conquista della coppa del mondo nel momento più difficile e cioè quando il tornado Calciopoli spazzò impietosamente la credibilità del calcio italiano a livello internazionale.
L’arrivo di Zidane
Il momento cruciale dell’era Lippi alla guida della Juventus fu quando il club bianconero si aggiudicò le prestazioni di un certo Zidane. Il talento francese fu inizialmente inserito nei tre di centrocampo del modulo 4-3-3 scelto dal mister, ma i carichi difensivi non ne esaltavano le qualità.
Cosi dopo alcuni riposizionamenti Lippi trovò la quadra del cerchio spostando Zidane a ridosso delle due punte e dunque iniziando un nuovo ciclo ancora più vincente con il rombo a centrocampo del nuovo 4-3-1-2 che portò la Juve ad essere una delle squadre più forti d’Europa.
Zidane rappresentò per Lippi la classica chiave di volta, di lui dirà qualche anno più tardi senza che nessuno ci rimanga male, il calciatore più grande di tutti è stato Zinedine Zidane, che è anche una grandissima persona.
A formare il famoso rombo di centrocampo c’era Dechamps nel vertice basso, Di Livio e Jugovic mezzali. In avanti la coppia gol rispondeva al nome di Del Piero e Boksic. Un mix straordinario di qualità tecniche che si aggiungeva alla grande personalità dei suoi interpreti, un assetto terribile che portò a risultati straordinari come il doppio 6-1 del 1997 rifilato al Paris Saint German e al Milan.
In quella squadra c’erano qualche fuoriclasse e tanti campioni. Perché campioni non lo si è soltanto nel giocare a calcio, ma anche nel comportamento, nella professionalità, nell’atteggiamento e nell’unità d’intenti.
Il Lippi pensiero
Marcello Lippi fu un innovatore nel mondo del calcio perché nel corso degli anni riuscì sempre a dare una lettura filosofica e una soluzione pratica ai problemi che di volta in volta si palesavano. Quando sono arrivato l’Avvocato disse che la Ferrari aveva più possibilità di vincere il Mondiale che la Juve di vincere il campionato: quando vincemmo lo scudetto mi chiese scusa per quella frase.
Nell’idea di gioco del mister c’erano essenzialmente due principi da rispettare: dare in campo tutto quello che si aveva, cercare soluzioni semplici. Sul piano muscolare la Juventus diventò decisamente molto più fisica.
E la soluzione erano due linee rette, dalla difesa al centrocampo e dal centrocampo all’attacco. Bisognava sovrastare l’avversario sul piano fisico cercando soluzioni di gioco lineari che tuttavia di semplice avevano ben poco perché chiedevano grande sacrificio.
Ruoli da reinventare
Lippi lavorò sulla testa di quei ragazzi (per citarne uno, Del Piero aveva appena 20 anni) e su tatticismi molto semplici, che portarono Ravanelli e Torricelli (per Trapattoni buoni panchinari) a eccellere nei rispettivi ruoli di punta e terzino.
Nel 2001 torna alla Juventus che nel frattempo si è privata di Zidane. Nell’organico bianconero c’è un certo Pavel Nedved, una delle migliori mezzali d’Europa, ma Lippi vede in lui l’erede naturale di Zidane e lo impiega come trequartista dietro Del Piero e Trezeguet.
L’anno seguente la Juve acquista Camoranesi che insieme a Zambrotta sono fra le migliori ale destre in circolazione. Uno è di troppo? Niente affatto, Lippi sposta Zambrotta a sinistra nel ruolo di terzino facendolo diventare in breve tempo uno dei migliori terzini sinistri.
I segreti del 4-3-1-2
Nella fase di non possesso Lippi lascia pochissimo margine di manovra agli avversari e se lo può concedere perché con l’allargamento delle mezzali e lo schiacciamento del trequartista e del play la squadra assume un assetto ultra difensivo che chiude naturalmente gli spazi.
Lo sviluppo della manovra in fase di possesso porta a ridosso dell’area almeno sette giocatori con la spinta dei terzini che sfruttano le sovrapposizioni con le mezzali per aggredire le fasce, ma anche e soprattutto con il trequartista che è difficilmente marcabile fra le linee.
La prestanza fisica è una componente imprescindibile dei terzini, come del trequartista. In questi ruoli c’è bisogno di grande corsa e gambe d’acciaio.
La piramide difensiva (i due difensori centrali più il vertice basso del rombo) deve avere grande sintonia di movimenti per impedire l’attacco centrale e inoltre al play basso vengono chieste grandi doti di visione di gioco nel momento in cui imposta la manovra.
Il rombo visto da Maurizio Sarri
Dopo un inizio in sordina, Sarri è diventato in breve tempo uno degli allenatori più ricercati a livello internazionale grazie al gioco espresso dalle sue squadre.
I successi sul campo sono stati relativamente pochi, ad oggi infatti si contano una promozione in serie A con l’Empoli e la conquista dell’Europa League durante l’esperienza al Chelsea. Attualmente alla guida della Juventus occupa la testa del campionato di serie A, fermo per l’emergenza sanitaria.
Più che i trofei, ciò che ha impressionato gli addetti ai lavori sono stati la mentalità e lo stile di gioco espressi dalle sue squadre. Il suo modulo preferito è il 4-3-3 ma con una variante non da poco e cioè la presenza di un trequartista che va a formare il cosiddetto rombo di centrocampo.
Gli esordi con l’Empoli
È con la squadra toscana che Sarri è salito alla ribalta delle cronache, un’esperienza lunga tre anni che ha visto l’Empoli scalare la classifica della cadetteria e conquistare la massima serie giocando sempre allo stesso modo con pochissime eccezioni.
Nel rombo di centrocampo biancoazzurro il vertice basso è sempre stato ed è tutt’ora Mirko Valdifiori che con la sua visione di gioco garantisce solidità difensiva e grande lucidità nell’impostazione della manovra.
L’esplosione dei talenti Saponara, Vecino e Verdi
Insieme a Validifiori un’altra costante sono state le mezz’ali Croce e Moro, quest’ultimo ha ceduto il posto a un certo Vecino (ceduto successivamente alla Fiorentine e attualmente centrale dell’Inter) quando l’Empoli è approdato nella massima serie nella stagione 2014/2015.
Nel ruolo di vertice alto si sono alternati prima Saponara (passato alla corte di Giampaolo nella Sampdoria e attualmente di proprietà del Lecce) e quindi Verdi (ha vestito le maglie di Milan e Napoli prima di essere ricomprato dal Torino alla cifra monster di 20 mln di euro) che si è ritagliato uno spazio importante anche nella nazionale di Mancini.
A dispetto di quanti credono che salendo di categoria siano necessarie vere e proprie rivoluzioni, Sarri con il suo calcio è riuscito ad esaltare le qualità dei singoli con una manovra corale e avvolgente che ha messo in bella mostra le qualità tecniche dei suoi uomini.
Non si può dominare Sarri
È curioso che due allenatori navigati come Inzaghi e Guardiola abbiano espresso lo stesso concetto a proposito di due differenti incontri. Inzaghi da tecnico del Milan e Guardiola alla guida del Manchester City hanno elogiato il gioco di Sarri affermando che le sue squadre non si possono dominare per 90 minuti.
Si chiamino Empoli o Napoli poco importa, ciò che fa la differenza è l’impronta di gioco. Ciò che ha reso celebre il Sarrismo non è tanto il bel gioco, ma soprattutto la capacità di adattarsi all’avversario con le dovute contromisure tattiche che il rombo garantisce.
In fase di costruzione e di sviluppo della manovra la prima e seconda linea avversaria si superano partendo dall’interscambio del play con la mezzala che si sgancia dalla marcatura. Il primo tassello è dunque sul corto, che consente successivamente la verticalizzazione sul vertice alto del rombo (ndr il trequartista).
Da questo momento in poi le soluzioni diventano molteplici e dipendono dalla capacità di andare fuori e dentro dei due attaccanti nonché dall’inserimento dell’altra mezzala che s’invola verso l’area avversaria coperto dalla discesa simultanea del terzino o del mediano.
Il rombo in tutte le zone del campo
La bontà delle geometrie dipende prima dalla capacità di innescare l’azione dal basso aggirando il pressing e successivamente dalla capacità delle punte di ricevere e scaricare sulle mezzali, con una continua triangolazione (avanti – dietro) finalizzata alla ricerca del compagno che tenta di aggredire l’area in posizione ottimale.
Il perno della manovra è dunque il trequartista, ma spesso questo viene ingabbiato nel tentativo di soffocare lo sviluppo della manovra. In tal caso sono le punte a muoversi indietro ripetendo lo stesso movimento ma invertito, cioè da dentro a fuori. E qui entrano in gioco i terzini che si allineano in modo tale da ripetere la geometria del rombo anche sulle corsie laterali.
Il denominatore comune rimane dunque il rombo, tant’è che osservando la disposizione tattica delle squadre allenate da Sarri è evidentemente come tutte le zone del campo i giocatori si dispongano in tal modo continuando quella serie di passaggi corto lungo che danno fluidità e rapidità alla manovra.
Il pressing ragionato
Un’altra caratteristica del gioco di Sarri sta nel pressing che si articola in una serie di mosse e contromosse utili ad arginare la costruzione di gioco dell’avversario mantenendo un assetto capace di ribaltare l’azione e renderla da difensiva in offensiva.
Innanzitutto le punte. Se pressano su una difesa a tre cercano di spingere la costruzione su una delle due corsie, mentre se la difesa avversaria è disposta a quattro vanno sui difensori centrali. In entrambe le situazioni è il trequartista ad andare incontro al portatore.
Una delle mezzali va sul terzino, mentre l’altra sul mediano che è deputato a ricevere. Quando la mezzala viene saltata, perché uscita in pressione, interviene a supporto il terzino.
Nel pressing adottato da Sarri ci sono due costanti: la chiusura delle linee di passaggio sulla prima linea e l’anticipo sulla seconda linea dove il pressing si fa a uomo.
Il risultato? Se l’avversario resta con pochi elementi dietro la linea della palla quasi sempre finisce per tentare il lancio lungo facile preda della difesa, oppure rischia il passaggio a centrocampo dove gli uomini di Sarri sono in grado di intercettare e ribaltare l’azione.
Il gioco corto e la fase di possesso
Uno dei principi cardine del gioco di Sarri sta nel costruire la manovra sul corto per attrarre l’avversario e successivamente sfruttare lo spazio creato per una rapida verticalizzazione. Tutto inizia dal vertice basso del rombo che si interscambia con una mezzala tutte le volte che viene chiuso.
In fase di possesso è fondamentale il ruolo dei terzini e delle mezzali che hanno lo scopo di creare superiorità saltando la prima linea di difesa per poi aprire il gioco con il reparto offensivo dal quale si riceve lo scarico ed immediatamente si innesca l’accelerazione della giocata verso l’area avversaria.
Non sempre fila tutto liscio, capita infatti di trovare i corridoi chiusi e allora succede anche alle formazioni di Sarri che il portiere rilanci lungo. In questo tipo di situazioni i tre davanti si muovono diversamente, uno infatti va incontro e gli altri due si spostano sul lungo nel tentativo di aggredire una zona scoperta in situazione di 2 contro 2.
Nel momento in cui un terzino partecipa alla manovra offensiva riceve il supporto di una mezzala e del trequartista che si allarga per ricreare il rombo anche sulla fascia laterale. L’altro terzino si abbassa sulla linea di difesa per la copertura preventiva di un eventuale cambio gioco dell’avversario.
Le esperienze con il Napoli e la Juventus
Alla guida di due grandi club come Napoli e Juventus, Sarri ha cercato subito nuovi equilibri tattici ricorrendo al suo marchio di fabbrica e cioè il 4-3-1-2 ma non senza incontrare evidenti difficoltà.
Nel Napoli ha cercato inizialmente di schierare Insigne dietro le punte Higuain e Mertens, ma l’esperimento non riuscì e i primi insuccessi quasi gli costarono la panchina. Decise pertanto di abbandonare il rombo e schierarsi con il 4-3-3 classico che diede nuovo slancio alla squadra partenopea.
Con la Juventus ha trovato il modo di riadattare Bernardeschi Dybala e Ramsey nel ruolo di trequartista dietro le punte, tuttavia anche in questo caso si è trovato con una squadra poco spettacolare che ha raccolto successi più per il divario tecnico con l’avversario che per propri meriti. Nella seconda parte del recente campionato è ritornato a schierare il 4-3-3.
Chiaramente al Napoli e alla Juventus non mancano i fuoriclasse, ma a quel livello di competizione bisogna fare altri ragionamenti e cioè mettere tutta la rosa in condizione di rendere al massimo. Se Dybala o Bernardeschi rendono più da esterni che da trequartisti, evidentemente il rombo non s’ha da fare!
Non si tratta di involuzione o di mettere in discussione un certo modulo, ma al contrario di quella capacità degli allenatori di sapersi adattare alla rosa a disposizione e individuare i tatticismi più idonei per esaltare le qualità dei singoli anche a costo di abbandonare l’impianto di gioco preferito.
Il Catanzaro di Oscar Brevi
Il Catanzaro di Oscar Brevi verrà ricordato a lungo per essere una squadra coriacea che dava poco spazio allo spettacolo e che aveva nel DNA un’ossessione quasi maniacale per la fase difensiva. Per nulla votata all’attacco, la squadra giallorossa scoprì tuttavia l’importanza della continuità di risultato.
Quando Brevi fu chiamato alla guida delle aquile le premesse furono ben chiare: Al di là dei moduli tattici e delle caratteristiche tecniche della squadra, il mio è un calcio propositivo, che punta al gioco. La mia squadra deve avere la personalità di fare la partita e di costruire i presupposti per portare il risultato a casa.
Il credo tattico
Nell’impianto di gioco delle squadre allenate da Brevi c’è sempre stato un marcato dualismo fra l’impronta del 3-5-2 e quella del 4-3-1-2 che a detta del mister è possibile attuare cambiando di ruolo un solo giocatore.
Ciò che conta è la disponibilità dei giocatori a sacrificarsi anche se poi non si possono snaturare le loro caratteristiche. Russotto, ad esempio, è sempre stato un esterno offensivo, con me a Catanzaro giocava mezzala e ha avuto una stagione straordinaria che lo ha riportato in serie B.
Il riferimento è alla seconda parte di stagione quando il Catanzaro si aggiudicò le prestazioni di Vacca che insieme a Benedetti e Russotto formarono il terzetto di centrocampisti centrali con Sabatino e Marchi ai lati.
Nel corso delle sue esperienze, quando le cose giravano male, Brevi ha spesso alzato i terzini sulla linea mediana per dare maggior compatezza alle sue squadre, ma al tempo stesso e con alterne fortune ha reinventato il ruolo di qualche giocatore.
Ad esempio nel Catanzaro spostò un centrocampista (Vitiello) come terzo di difesa passando di fatto al 3-5-2, mossa che fu ripetuta nella stagione seguente alla Spal quando arretrò Capece.
Sempre in tema di riallocare giocatori ricordiamo anche Marchi (Catanzaro) che si alternò fra il ruolo di mezzala e quello di quarto di centrocampo, oppure Possanzini (Cremonese) da seconda punta a quinto di centrocampo.
La truppa giallorossa
Il Catanzaro della stagione 2013/2014 vantava a centrocampo pezzi da 90 del calibro di Benedetti, Vitiello, Marchi e Russotto, quest’ultimo iniziò da quarto a sinistra per poi occupare la posizione di trequartista dietro le punte e infine di esterno in un improbabile tridente.
La visione di gioco di Vitiello (e più tardi quella di Vacca) garantiva solidità al reparto centrale come a quello arretrato, cosa questa che premiava le capacità di anticipo e di scatto nel breve di Ferraro e Rigione (un vero talento scuola Inter), tuttavia lo sviluppo della manovra restava compassato nonostante la presenza del fantasista Russotto.
Probabilmente il punto debole, o se vogliamo meno performante, erano i due terzini che rispondevano al nome di Sabatino e Catacchini. Non esattamente due cursori di fascia che restando bassi non aiutavano a dovere Russotto e Marchi sulle rispettive corsie.
In avanti giostravano bomber Fioretti e l’infaticabile Germinale, un buon mix di rapidità e fisicità che valsero alle aquile l’accesso alle zone alte della classifica, non per la vena realizzativa bensì per la solidità del reparto arretrato che giovava di un impianto di gioco molto difensivo.
La squadra aveva senza dubbio un suo equilibrio, ma la scarsa propensione ad aggredire le fasce portò Brevi a rivoluzionare l’assetto passando dal 4-4-2 al 4-3-1-2 e infine al 3-5-2.
Tante piccole rivoluzioni che videro Russotto passare dal ruolo di ala sinistra a quello di trequartista per poi diventare mezzala, Marchi si alternò da centrale ad ala, Vitiello da mezzala a terzo in difesa.
Durante il mercato invernale arrivarono Vacca Di Chiara e Madonia, un giocatore per ogni reparto. Tre rinforzi importanti che migliorarono la stabilità del centrocampo ma senza trovare un valore aggiunto in attacco dove si innescò la polemica che coinvolse Russotto, ormai relegato ai margini del terreno di gioco (ndr il terzo guardalinee diranno i maligni) incapace di esplodere il proprio estro.
Quanta fatica per fare gol
Una delle caratteristiche delle squadre di Brevi è sempre stata l’attenta fase di copertura, che ha portato a subire pochissimi gol ma di contro a farne anche pochi. Una costante che ha abbracciato le esperienze con il Catanzaro, la Spal, il Padova e la Cremonese.
Quello di Brevi è un calcio pratico, pragmatico, che risponde al detto del “prima non prenderle” ma che non sempre si è rivelato efficace. Le recenti esperienze con Olbia, Renate e Rimini hanno minato la bontà dei suoi dettami tattici in un’era calcistica decisamente feroce che premia l’aggressività e la capacità di saltare le linee di difesa avversarie.
Il ricorso alla palla lunga per la spizzata della seconda punta è diventata nel corso del tempo sempre più una necessità per via del fatto che le sue squadre mostravano un atteggiamento remissivo che teneva costantemente sotto pressione la mediana.
Qualche curiosità
Il buon percorso fatto con il Catanzaro resterà una pietra miliare nella carriera di Oscar Brevi che non riuscirà più a ripetere gli stessi risultati anche in piazze importanti come Ferrara e Padova.
La squadra costruita nella stagione 2013/2014 era di tutto rispetto, con le giuste individualità. Memorabile fu la doppia sfida contro la fortissima Salernitana, con la squadra di Brevi capace di nascondere palla e imbrigliare un avversario decisamente più tecnico.
Brevi ritroverà sia con la Spal che con il Fano la coppia d’attacco Germinale Fioretti, ma entrambe le esperienze si concluderanno amaramente per via della scarsa qualità del centrocampo che non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello allenato durante l’esperienza con le aquile.
Il Catanzaro invece proseguirà la sua sfortunata permanenza in terza serie smantellando e riallestendo lo staff e il proprio parco giocatori senza una reale programmazione tecnica che avrebbe sortito sicuramente migliori risultati.
GENTILE SIGNOR GRECO , NON PENSA CHE NELLA NOSTRA SQUADRA ATTUALE ASSISTIAMO AD UNA SERIE INFINITA DI PASSAGGI SPESSO LATERALI SE NON PORTANDO LA PALLA INDIETRO ARRIVANDO COSI ‘ SOTTO PORTA QUANDO LA DIFESA AVVERSARIA E’ GIA’ PIAZZATA ? A MIO PARERE SERVE UN GIOCO PIU’ PRATICO E SENZA FRONZOLI SPECIE IN QUESTA MALEDETTA SERIE .NON SAPPIAMO SE AUTERI RESTERA’ MA HO LA SENSAZIONE CHE CON QUESTO MISTER PUR BRAVO , NON ANDREMO DA NESSUNA PARTE .PENSO ANCHE CHE SONO I GIOCATORI BUONI A FARE UN ALLENATORE BRAVO E NON VICEVERSA . COSA NE PENSA ? RIUSCIREMO MAI AD ABBANDONARE DEFINITIVAMENTE L’INFERNO DELLA C ? IN ATTESA DI UNA SUA CORTESE RISPOSTA LE PORGO I PIU’ CARI SALUTI .
Quando si assiste ai passaggi orizzontali cui fa riferimento significa che l’avversario si è ben chiuso e automaticamente diventa difficile trovare un corridoio verticale. Riguardo Auteri credo che sia uno dei migliori in circolazione e che due anni fa la scelta di ingaggiarlo fu davvero saggia. Per il futuro mi auguro che Auteri resti alla guida delle aquile e che la società riesca a garantirgli quel parco giocatori di cui c’è bisogno. Non dimentichiamo infatti che talune involuzioni di singoli giocatori hanno influito negativamente sul rendimento dell’intera squadra. Non si tratta di buttare la croce sui singoli, ma di riuscire a creare un team davvero forte in ogni sua piccola componente. Saluti