Cesare dei polli, Imperatore della mensa opulenta, padrone di una Roma in liquidazione le cui “giacenze” vengono svendute al primo antiquario che passa. Romolo Augustolo, ultimo imperatore di Roma, è il simbolo di un relitto putrefatto di una Storia che ha conosciuto un livello di civiltà rimasto ineguagliato per secoli e secoli.
In Romolo, il Grande emergono tutti i paradossi e le contraddizioni di un mondo in rovina. Tratta da un lavoro di Durrenmatt, la commedia riadattata da Roberto Giucciardini e messa in scena dalla compagnia Doppiaeffe si rivela ironica, fresca, solo apparentemente leggera, ma con un significato più profondo, con una scenografia che rende bene il senso della trama, con un’ambientazione adatta e qualche pollo che scorrazza liberamente sul palco.
Il lavoro teatrale, che ha riscosso grande successo, arriva al Politeama per una doppia rappresentazione: sabato 9 gennaio (ore 20,45) e domenica 10 gennaio (ore 18).
Protagonista è Romolo Augusto, detto Augustolo in senso dispregiativo: un inetto, scellerato e indolente, che preferisce mangiare e dormire piuttosto che reagire all’invasione dei barbari guidati da Odoacre, più interessato alle proprie galline che alla fine dell’impero romano. Insensibile rispetto alla rovina imminente, intralcia anche l’estremo tentativo di salvataggio di Roma, non facendo sposare sua figlia Rea con l’industriale Cesare Rupf, il quale avrebbe sborsato il denaro necessario a mandar via Odoacre.
E non c’è da stupirsi se, in un ambiente così grottesco, le galline abbiano il nome degli imperatori romani e il cuoco conti più del ministro della guerra…
A spadroneggiare sulla scena Mariano Rigillo, grande trascinatore, perfettamente a suo agio in un Romolo che sembrava quasi cucito su misura per lui. Allo stesso tempo buffone e stoico, bizzarro e lucido, Rigillo riesce ad esprimere in ogni aspetto l’ambiguità di un protagonista a tratti ozioso, enigmatico, ma risoluto. Già, risoluto, perché si erge a giudice supremo della storia e a boia di una realtà in decadenza rispetto al vigore fisico e morale dei barbari guidati da Odoacre: una realtà costruita sulla guerra, sul sangue inutilmente versato e sulla corruzione, condannata a morte.
«Non sono le notizie a sconvolgere il mondo, sono i fatti: e quelli sono già accaduti quando le notizie arrivano». E’ forse questa la frase più significativa della commedia, quella che meglio spiega il comportamento dell’ultimo imperatore romano, che preferisce continuare ad allevare polli piuttosto che chiudere in un bagno di sangue la parabola di quel grande sogno che era Roma.
Sulla scena si distingue anche Anna Teresa Rossini, nel ruolo dell’imperatrice Giulia, frenetica “Madre della Patria”, grottesca e titanica, una donna ambiziosa che crede ancora nei valori e nelle tradizioni dell’impero, la cui fede crolla però davanti a una tragica fine.
Romolo il grande è uno dei lavori teatrali di Dùrrenmatt più comici e insieme più pessimistici.
Scritto nel 1949 è stato più volte rielaborato dall’autore fino all’edizione definitiva del 1964.
“Commedia storica storicamente inverosimile”, rappresenta il tardo impero romano alla vigilia della sua caduta.
Scrive Guicciardini nelle note di regia: “Romolo appare “grande” poiché è l’unico ad aver riconosciuto il carattere grottesco della realtà e ad essersi deciso a recitare il ruolo di clown a occhi aperi in questo universo del grottesco. Deriso e disprezzato da tutti per la sua apparente imbecillità, agli occhi di Dùrrenmatt egli diventa una figura non priva di una sua grandezza tragica: la decisione che gli si richiede egli la vive “come un momento spaventoso, come l’aprirsi di un baratro” : “ Per me il mondo se ne sta lì come un mostro, come un enigma rispetto al male che deve essere sopportato e dinanzi al quale però non può esservi capitolazione”.
Quest’ideale di eroismo veramente stoico si propone al pubblico in maniera molto divertente: infatti l’idea centrale della commedia, quella dell’eroe misconosciuto da tutti nella sua vera grandezza, viene esposta facendo uso di gags cabarettistiche e di esagerazioni grottesche, in un linguaggio insieme espressivo e di grande effetto”.
Scritto nel 1949 è stato più volte rielaborato dall’autore fino all’edizione definitiva del 1964.
“Commedia storica storicamente inverosimile”, rappresenta il tardo impero romano alla vigilia della sua caduta.
Scrive Guicciardini nelle note di regia: “Romolo appare “grande” poiché è l’unico ad aver riconosciuto il carattere grottesco della realtà e ad essersi deciso a recitare il ruolo di clown a occhi aperi in questo universo del grottesco. Deriso e disprezzato da tutti per la sua apparente imbecillità, agli occhi di Dùrrenmatt egli diventa una figura non priva di una sua grandezza tragica: la decisione che gli si richiede egli la vive “come un momento spaventoso, come l’aprirsi di un baratro” : “ Per me il mondo se ne sta lì come un mostro, come un enigma rispetto al male che deve essere sopportato e dinanzi al quale però non può esservi capitolazione”.
Quest’ideale di eroismo veramente stoico si propone al pubblico in maniera molto divertente: infatti l’idea centrale della commedia, quella dell’eroe misconosciuto da tutti nella sua vera grandezza, viene esposta facendo uso di gags cabarettistiche e di esagerazioni grottesche, in un linguaggio insieme espressivo e di grande effetto”.