Entro allo Stadio godendo del piacevole colpo d’occhio che regalano i sediolini gialli e rossi; non sarà il Craven Cottage ma c’è qualcosa di quello spirito al Ceravolo. Di certo finchè esisteranno Catanzaro e il Catanzaro, lo stadio dovrà rimanere in città (in questo centro appena fuori dal centro) per non perdere l’anima.
I distinti, il settore che ho scelto per la mia nuova prima volta, sono quelli di sempre: ironia, eccessi, sputi e passione.
Tutto quanto può trovarsi in un settore popolare, qui ha una faccia, una voce, un odore.
C’è Mario Frustaci per esempio, impeccabile in giacca e cravatta, con gli occhiali da sole inforcati fino al novantesimo; c’è poi uno dei fratelli Rosi che proprio non riesce a stare seduto, e passeggia come un marito con la moglie al travaglio; ci sono alcuni tifosi di Vibo (quanto devono amare il Catanzaro per aver resistito tutto questo tempo?) con la loro adorabile diversità nell’inflessione, evidente già al primo scambio di battute.
Il dottore, il meccanico, l’avvocato: varcati i tornelli del Ceravolo le maschere del quotidiano appaiono per quello che sono e perciò cadono senza troppe resistenze. Qui non conta quanto riesci a portare a casa alla fine del mese, qui se non riconosci uno degli undici in campo sei automaticamente un dilettante, un “tifoso del buon tempo”.
Così a un tizio che in perfetto italiano chiede “mi scusino, ma Caputo non gioca perchè infortunato”? un altro, gentilmente risponde in perfetto jermito: “ma vui e duva veniti, d ‘a Germania?”.
Lo sanno tutti che Caputo è squalificato: “perdonatemi, è che non venivo da tempo”, conclude il primo.
Gli undici giallorossi il riscaldamento lo fanno sotto la curva, come sempre. E pensando a quando vedevo tutto da quella prospettiva, in un lampo sento scorrere le immagini del passato. Nomi di atleti spesso mediocri, di tecnici altrettanto spesso poco dotati eppure magici, perchè nenache fossero una macchina del tempo, mi riportano in un passato che credevo perduto per sempre: roba che neanche uno scienziato del Cern può comprendere.
Quando la formazione viene annunciata, nel settore cala improvvisamente un un silenzio da teatro dell’opera, il sistema di diffusione dell’audio fa (sono anni ormai) le bizze.
“Oialamadò, para a stazione e Lamezia” si rammarica un uomo sulla cinquantina.
“Apara i finestri ca sentimu megghiu” chiede un vecchio richiamando l’attenzione dello speaker in sala stampa.
E’ tutto così uguale.
La plasitca dei sedili è confortevole, e quello che deve essere il notista politico dei distini ci tiene a sottolinearlo: “grazie a Maroni almenu non mi si gelanu i natichi”.
Ormai ci siamo, l’attesa è finita. Le squadre entrano in campo, salutano il pubblico, scambiano i gagliardetti, scelgono palla o porta.Dalla Puglia non più di cinquanta persone in curva est, i loro cori scanditi dal fastidioso sibilo di un fischietto: “penzica u capu ultras esta vigile urbano”.
E’ divertente, la nostra squadra attacca, e specialmente nei primi minuti è un assedio alla porta avversaria. Montella è potente, intelligente e generoso, Mosciaro agile e veloce. Bruno ricorda Cristiano Zanetti, Gimmelli buddha, Ciano un santo.
Longoni è diverso da tutti gli altri, probabilmente superiore a tutti gli altri.
Prima della pausa il goal di Montella. Tutti in piedi e tutti contenti.
Qualche bestemmia, così, per dare l’idea di non essere troppo soddisfatti. Davanti a me un tifoso legge il giornalino del CZCLUB. C’è un pezzo di Rotella in prima pagina.
L’uomo lancia con fastidio il giornale al suo vicino: “Tè Sasà, dicia ca cci dispiacia ppè l’amico Bove. E a mia mi dispiacia ppè i tri punti ‘e penalizzazione. Mò dimmi tu, cu è cchiu tifosu, eu o iddhu?”.
Ineccepibile.
Una corrente d’aria gelida di tanto in tanto attraversa i distinti, e allora è un continuo stringersi nei giubbotti, una generale alzata di baveri, un continuo battere di mani.
Chi fino a quel momento aveva recriminato per la scelta del soprabito pesante ora è convinto d’aver visto lungo e si compiace soddisfatto.
Il secondo tempo si apre con Longoni: dribbling, passaggi filtranti, corse negli spazi, il goal. E’ tutto a posto.
Ci si scalda ancora grazie all’arbitro che espelle Mosciaro, agli avversari che entrano duro sul nostro argentino, al mister ospite e all’ex Caccavale.
Il due a zero è largo, l’inferiorità numerica non preoccupa.
Auteri rinforza il centrocampo con Basile e Corapi : “Mmè, ci liberammi i bassotti”. E ancora: “ala prossima Montella, Caputo, Longoni”.
Ma sì, si può già pensare al Gela.
Guardo la curva, e i palazzi che s’alzano dietro. Chissà in quante stanze le radio saranno sintonizzate sulla voce di Giummo. E andando oltre questo quartiere e questa città, chissà quanti televisori staranno cercando la pagina 218 del televideo, e chissà ancora quanti computer oltre le Alpi saranno bloccati sulla home di .net
Tifare Catanzaro ha i suoi vantaggi.
Finalmente capisco pure perchè quelli del Palanca hanno smesso di disertare.
L’assenza, in una città cinica, nobile, smemorata, saggia, coraggiosa e stracciona come la nostra, non potrà mai essere identificata come protesta: significherà sempre e soltanto rinuncia.
Il Catanzaro non è il piacevole dettaglio del fine settimana. E’ stato molto di più in passato, dovrà ritornale ad esserlo.
Mancavo dallo stadio da tanto, troppo tempo.
Non appartengo a un club, non ho amici influenti in questa città, non ho interessi particolari, ho solo un sogno : vedere il Catanzaro a San Siro giocare spavaldo e giallorosso nel grigio di Milano.