L’8 dicembre alle 17 era finita 0-0 e tutti si erano dati appuntamento al 3 maggio. Un altro ponte, un altro derby 19 anni dopo. Con la speranza di essere ancora lassù, vicine in classifica, per giocarsi tutto nell’arena del “Ceravolo” in una sfida all’ultimo sangue dal sapore antico. E invece questo Catanzaro-Cosenza tanto atteso rischia di essere un derby inutile, ininfluente per la classifica, con pochi spettatori e senza tifoseria ospite.
PERCHÃ È UN DERBY INUTILE – La classifica parla chiaro. I 12 punti che separano le due squadre sono inappellabili. Il Cosenza, in testa dall’inizio del campionato, è a soli due punti dalla sospirata e meritata promozione. Se non arrivasse una vittoria domenica (o un regalo da Gela), il “San Vito” si vestirebbe a festa la domenica successiva per la gara col Melfi. Il Gela ha 7 lunghezze di ritardo, sufficienti a prolungare l’agonia ancora per qualche giorno e a conservare comunque la pole position in vista dei play-off. Anche il Catanzaro ha poco da chiedere a queste ultime tre giornate. I 6 punti sul Cassino sesto dovrebbero bastare, nonostante il crollo verticale della squadra di Provenza che ha centrato solo il comodo pareggio di Barletta nelle ultime 4 partite. Il posto nei play-off sembra comunque assicurato. E le precedenti esperienze negli spareggi insegnano che la posizione di partenza conta relativamente poco. E poi perché il Catanzaro dovrebbe rischiare infortuni e cartellini compromettenti in vista del finale di stagione? E perché il Cosenza dovrebbe voler festeggiare senza tifosi al seguito nei blindati spogliatoi del “Ceravolo”, anziché in un “San Vito” interamente rosso-blu?
PERCHÃ È UN DERBY IMPORTANTE – Però in fondo il calcio è uno sport, fatto di storie, di passioni, di sentimenti. Il derby è sempre il derby. Le due tifoserie lo hanno aspettato per così tanti anni. Il Cosenza non ha mai vinto un campionato quando ha trovato il Catanzaro sulla sua strada. Ora ha l’occasione di sfatare questo tabù e di farlo proprio al vecchio “Militare”, tornando in città tra due ali di folla. Legittimerebbe anche una superiorità che l’8 dicembre in campo non si è vista. E che a parità di risorse economiche e di entusiasmo dell’ambiente forse non ci sarebbe mai stata. Il Catanzaro, invece, ha l’obbligo di rinverdire una tradizione vincente nei derby. Di rimandare la festa degli arcirivali. Di tenere a distanza Pescina, Andria e Cassino, anch’esse altalenanti in questo finale di stagione (nessuna delle prime 6 squadre del campionato ha vinto 2 partite di fila nelle ultime 5 giornate). Di presentarsi ai play-off da favorita insieme al Gela, mandando un segnale alle rivali e al proprio pubblico.
ULTIMA CHIAMATA – Il Catanzaro deve dimostrare che gli ultimi tre mesi balbettanti non possono inficiare un girone d’andata meraviglioso per gioco e risultati. Il Catanzaro deve riconquistare una città dove si è ricominciato a parlare da tre mesi dei soliti refrain già sentiti negli ultimi 20 anni. Ovviamente. Che la situazione economica di questa società non sia florida è risaputo. In maniera quasi disarmante e trasparente. Dall’inizio dell’anno. I risultati tecnici colti da Provenza e dai ragazzi hanno solo (e parzialmente) allontanato i fantasmi di un futuro che non c’è o è molto difficile da vedere. I fantasmi di un futuro che spesso coincidono con gli spettri del recente passato. La comunicazione che non funziona e la biglietteria “virtuale”. La scarsa chiarezza dei ruoli e uno stadio “riverniciato” a nuovo ma ormai obsoleto. E desolatamente vuoto. Presidente Bove, batta un colpo, dica qualcosa. Abbassi i prezzi, favorisca l’accesso allo stadio, chiami a raccolta la città. Domenica c’è il derby. Una bella vittoria darebbe al Catanzaro nuovo slancio ed entusiasmo in vista dei play-off. La navigazione a vista ormai è una realtà a cui siamo abituati. Purtroppo. Ma con le vittorie è più facile cercare brancolare nel buio in cerca di un via d’uscita. Un altro “pareggino” sarebbe la mazzata definitiva per un ambiente stanco e sfiduciato. I barlettani sono fratelli, i cosentini i rivali di sempre. Presidente Bove, Lei lo sa, da vecchio ultrà. E sa che questa è l’ultima chiamata.