Se bastasse una bella canzone per parlare d’amore…” Mi viene in mente il refrain di una canzone di qualche anno fa ogni qual volta leggo o ascolto i suggerimenti che vengono portati per salvare Catanzaro. Non c’è mese che passi senza che nella nostra città non succeda qualcosa di brutto o che solamente la danneggi. Dalle mareggiate alle alluvioni, dalle incertezze sull’uso della discarica al depuratore che non ce la fa, dal costruendo porto, che si rompe, fino agli scippi “istituzionali”, che si susseguono senza sosta. Tutto si attiva per indebolire il capoluogo di regione senza che alcuno si muova a soccorso. Tra indifferenze passate, sottovalutazioni continue, rassegnazione diffusa, sta prendendo corpo l’idea di cavarcela da soli. Da soli ricorriamo periodicamente ai TAR di tutta Italia. Da soli scriviamo letterine e documenti che nessuno legge. Da soli parliamo alla luna. Da soli ci culliamo dentro quell’amara condizione nella quale governi nazionali, di tutti i colori, giunte regionali di destra e di sinistra, ci hanno costretto: l’isolamento. La solitudine, appunto, di un capoluogo che non ha santi in paradiso. Che non ha più forza per contrastare un fenomeno che, nella grave crisi economica mondiale, si accentuerà per l’istintivo spirito di conservazione che già aggredisce territori e comuni calabresi, secondo il vecchio adagio “si salvi chi può”. E Reggio Calabria ha saputo salvarsi. Cosenza, nonostante il suo pesante deficit finanziario, se la cava abbastanza bene. E Crotone e Vibo Valentia si difendono come possono, vendendo bene al mercato del turismo le risorse naturali di cui dispongono. Tutte queste città, e i loro comprensori, che non sono stati con le mani in mano, hanno saputo impiegare, chi prima chi dopo, chi tanto chi poco, la propria forza contrattuale, politica e territoriale su due tavoli.
Il primo, quello interno: mettere insieme Consiglio Comunale Pacificato con rappresentanza parlamentare regionale dell’unico colore della responsabilità, forze imprenditoriali e forze del lavoro con associazionismo sociale e commerciale. Questo tavolo si compone prima, nella strategia dell’attacco propositivo, e non dopo, nella tecnica difensiva per ripararsi dalla sconfitta subita. Il secondo tavolo è quello esterno: forte unitaria iniziativa per costringere, con tutte le forme democratiche possibili, governo nazionale e governo regionale, separatamente o unitariamente, ad aprire quella che per noi, ormai, è diventata una vera vertenza: emergenza Catanzaro. L’ultima occasione ce la offre pesantemente la vicenda “scuole di specializzazione” della Facoltà di Medicina con sede a Catanzaro. Quel che è accaduto con il trasferimento di ben sedici scuole dalla nostra Università a quelle di Napoli e Bari, è inaudito. Non c’è politica, criterio, logica nazionale che possa giustificare una simile scelleratezza. Se tagli l’Università avrebbe dovuto ricevere, se piani di razionalizzazione il settore della Ricerca avrebbe dovuto affrontare, questi non dovevano avvenire in danno del nostro Ateneo. Anzi, la razionalizzazione delle risorse universitarie rappresentava la più preziosa delle occasioni con la quale, in spirito di continuità, tutti i governi inadempienti verso Catanzaro, avrebbero potuto invertire la vecchia logica del “maltolto”, contemporaneamente rafforzando l’Università della Magna Graecia e con essa l’Università della Calabria. Dinanzi a questo ulteriore scippo non una sola voce di protesta si è levata prima dell’approvazione del famigerato Decreto, non una sola battaglia di opposizione è stata avanzata dalla classe Parlamentare, Catanzarese in particolare. Ora, un certo realismo di maniera, che si vorrebbe sano perché concreto, vorrebbe difendere le Scuole di Specializzazione con i soliti ricorsi al TAR, i soliti rimpalli di responsabilità tra centrodestra e centrosinistra, quindi tra livelli regionali e livelli nazionali. E con i soliti complimenti a questo e a quello, che mai hanno colpa di nulla. E, poi, con la solita telefonatine di qualche Sottosegretario, che non ha tempo. E la solita propostine di chi scopre l’acqua calda. Non si trova in questa, certamente, l’idea avanzata di recente dal capogruppo al Comune del Partito Democratico. Tuttavia, nonostante la buona fede, in qualche modo ad essa si avvicina se egli ritiene che con centomila euro, che il Comune non ha, altri centomila, che la Provincia non ha, e trecentomila euro, che la Regione non ha più, si possano ripristinare le sedici specialità sottratte alla Facoltà di Medicina. Perché se tutto ciò davvero dovesse bastare per fare un po’ di Ateneo (che è alta Scuola nazionale e non un piccolo corso di formazione regionale) allora basterebbe davvero una bella canzone per parlare d’amore. Ma per noi ci vuole ben altro, oltre ai fondi ordinari dello Stato che dobbiamo assolutamente rivendicare per difendere Medicina a Catanzaro, e quindi in Calabria. Forse, ci vorrebbe la politica. Che è anche forza di confronto e autorevolezza nel conflitto democratico. La cosa che bisognerebbe capire è perché la politica ancora non la si voglia cercare”.
Franco Cimino: dichiarazione sull’Università
dichiarazione del capogruppo di Nuova Alleanza