Un nome, in ogni caso io ce l’ho e l’ho lasciato impresso, con un pennarello nero, sopra un lenzuolo bianco che ha finito per rimanere molto più bianco che nero.
A Catanzaro una “causa” è materia di lavoro per gli avvocati, oppure l’ elemento cui segue l’”effetto” per gli studenti.
Se si tratta d’ altro, allora è “causapersa”; così, tutta una parola.
Non so da cosa dipenda; un giornalista mi ha detto che è il risultato tremendo di anni poveri di tutto tranne che di stenti.
<<Siamo abituati a soffrire, a penare senza protestare>> mi ha spiegato convinto.
E allora, come la giraffa in molti secoli ha allungato il suo collo per mangiare, così noi abbiamo abbassato la testa, per lo stesso motivo.
Eppure passeggiando sul corso, con quella fiaccola in mano, lontano dalla prima fila quel tanto necessario per mantenere il mio anonimato, ho avvertito qualcosa.
Non ci ho fatto caso in un primo momento, ero troppo distratto da un paio di volti per niente anonimi che studiavano il proprio profilo riflesso sulle vetrine dei negozi, come attori un attimo prima dell’entrata in scena.
Uno in particolare era davvero una gran distrazione a guardarlo. Parlava con un celebre cameraman che sembrava venuto apposta per lui: <<non ancora>> gli diceva. <<Aspetta, più avanti>> continuava. <<Ecco, ora è perfetto>> e via con la per niente casuale intervista.
Se solo ci fossero state più firme su quel lenzuolo bianco…
Ma ho continuato a camminare, ho ritrovato un amico che per lo più se ne stava in silenzio, come me, intento a non lasciare che la fiamma si spegnesse. Un solo sguardo, poi ancora un passo dopo l’altro. E di nuovo, io ho sentito qualcosa.
Ma è stato un attimo, avevo il pensiero che tutto andasse per il meglio. Guardavo da una parte e dall’altra, perché i pericoli arrivano quando si è troppi o troppo pochi e perché c’era gente molto diversa, che la propria diversità, per fede, audacia o stanchezza non l’ha mai messa da parte.
Così siamo arrivati al palazzo comunale, le luci spente, nessuno aveva pensato di attenderci. Avranno creduto che quattro gatti stanno bene da soli per strada.
Ma io continuavo a sentire qualcosa.
E non so per chi i volti noti pensassero che quegli anonimi fossero arrivati lì sotto, né credo che avessero capito le nostre ragioni ( sarebbero rimasti nei loro uffici a lavorare oltre il turno ordinario se fosse successo). So però che non m’importava, perché io, sentivo qualcosa.
Ho pensato al giornalista d’un tratto, quello delle spiegazioni iniziali, e mi sono sorpreso a guardare in alto, verso il palazzo.
E nella stessa direzione, guardavano gli altri anonimi. E con la stessa intensità, guardavano gli altri anonimi.
Non so se le giraffe di oggi, avranno mai pensato alle prime giraffe che allungavano il collo in cerca del cibo.
Io so che oggi ho pensato al catanzarese di domani, in gruppo davanti a un palazzo del potere o solo davanti a un potente: con la sua testa in alto e il suo sguardo intenso.
Hope.