“Il calcio calabrese,metafora della vita,sia momento di unità e di civiltà”.
“Ritorna il derby e ritorna la paura. La serie C2 del campionato di calcio rappresenta emblematicamente la condizione socio-culturale, e quindi politica e morale, della Calabria. Tranne la gloriosa Reggina della serie A, tutte le città più importanti della regione si trovano nello stesso campo di lotta e di impegno sportivo. Il calcio, e lo sport in generale, sono la metafora della vita. Impegno,volontà, voglia di superarsi, tecnica e vigore fisico, sono gli elementi comuni e caratterizzanti, a cui si aggiunge quella componente invisibile che è la fortuna o il suo contrario. La vita e il cammino della persona nella vita si trovano lì e in quei punti trovano le giustificazioni e le motivazioni umanamente concepibili. Il campionato, quale luogo di confronto e sfida tra atleti che si raggruppano sotto la stessa bandiera, rappresenta invece la metafora della società. Nel campionato, le squadre, che si preparano durante le settimane precedenti, si scontrano due alla volta per cercare la vittoria. Chi vince è perché bravo e, probabilmente, anche fortunato. Chi perde è perché non ha ancora raggiunto la competenza e la condiziona fisico-tecnica necessaria alla propria affermazione. Ma gli uni e gli altri concorrono, attraverso il rispetto, l’agonismo, l’emulazione, a realizzare lo spirito sportivo. Che si fonda essenzialmente sulla conoscenza dell’altro e sul rispetto proprio di chi non ha vinto. Da qui la spinta alla solidarietà. Chi vince, paradossalmente, è il primo alleato di quanti stanno indietro e ancora non ce la fanno. Li aiuta a mettersi al passo con gli altri. Lo fa con l’esempio delle sue buone qualità e del suo coraggio e del suo incessante lavoro. Immagino le cinque squadre calabresi, il Crotone, il Cosenza, il Catanzaro, la Vibonese, la Vigor Lamezia, quali cinque città che si rispettano, che si battono per far valere le proprie risorse specifiche. E per mettere in campo il meglio del loro territorio, della loro cultura e della loro storia. Certo, che ciascuna vorrà prevalere sull’altra, dimostrando di avere più qualità e capacità. Ma, nessuno si offenderà se le stesse o migliori qualità le trovasse nelle altre consorelle. Ovvero se a vincere il campionato fossero una o due tra di esse. I campionati si ripetono e sarà possibile che al prossimo possano vincere le altre due e poi a quello successivo la quinta città, così che tutte e cinque le squadre si potranno trovare progressivamente nelle serie superiori. Non si combatte la domenica contro un nemico capitale. E l’odio degli stadi non può trasformarsi, come purtroppo avviene, nei municipi e nelle piazze. I calabresi devono smetterla di mettersi contro i calabresi. Ne va del futuro di questa terra e del futuro dei propri figli. Pensare ancora di vincere contro gli altri o di crescere da soli, è follia o stupidità pura. Antieducativa, soprattutto. Le generazioni che finora si sono succedute hanno finora parlato in catanzarese, in reggino, in casentino, aiutate anche dal pullulare dei tantissimi dialetti. Distintivi quasi di una antropologica differenza tra le persone. Tutto ciò è assurdo. Fino a quando i calabresi non si daranno la mano e non utilizzeranno le peculiarità territoriali come forza aggiuntiva all’unica e unitaria identità di popolo, la Calabria resterà indietro. E sarà risucchiata negativamente da quel Mediterraneo che nelle sue acque fa navigare ricchezze e civiltà, mentre nei suoi fondali nasconde o annega tante potenzialità e risorse. Se questo è il terreno della nuova sfida, il calcio e le partite del derby possono rappresentare davvero l’inizio di un nuovo percorso sulla via della liberazione e del riscatto della nostra terra. Sono queste le considerazioni che mi portano a condividere la recente posizione assunta pubblicamente da Pino Soluri, presidente dell’Ordine dei giornalisti, e il suo appello alla pacificazione sportiva per la pacificazione sociale dei calabresi. Il suo invito affinché il derby Catanzaro-Cosenza si celebri nel più genuino spirito dello sport, è imperativo categorico per tutti. E tutti dobbiamo contribuire a diffonderlo. In particolare le istituzioni locali. Per questo mi permetto di suggerire al Sindaco di Cosenza di invitare a pranzo, il giorno della partita, festa dell’Immacolata, il Sindaco di Catanzaro, facendosi entrambi accompagnare dai “capi” delle tifoserie delle due squadre. E, poi, insieme dal ristorante portarsi allo stadio. Senza bandiere e cori bellici al seguito. Sarebbe un bell’esempio d’unità. Bello davvero. Come la Calabria che, senza quel pugno di calabresi “contro”, sarebbe la terra più bella del mondo.”