NORD, SUD, ROMA CAPITALE: QUALE FEDERALISMO?

riceviamo e pubblichiamo Intervento On. Soriero

Abbiamo organizzato questo seminario nel vivo del dibattito sulle proposte relative al cosiddetto Federalismo, preoccupati dalla piega che nelle settimane scorse lo stesso aveva assunto. Che senso ha ragionare ancora in termini ideologici solo sull’attuazione del federalismo fiscale senza comprendere i passaggi obbligati che oggi sono davanti a noi alla luce dei processi di globalizzazione, di crisi mondiale dei mercati e della finanza?

L’estate politica,come talvolta avviene, aveva riempito i propri vuoti amplificando solo in termini ideologici una discussione esclusiva sul Federalismo fiscale, alimentata abilmente da una sorta di “ideologia padana” e viziata anche da un confronto reticente tra le forze democratiche .

Alcuni settori, invece di analizzare in maniera rigorosa i problemi di radicamento territoriale scaturiti dal voto, avevano superficialmente alimentato un dibattito che, assumendo come  priorità una “questione settentrionale”, arrivava a teorizzare anche nel Centrosinistra l’esigenza di un “Partito del Nord”.

I segni di confusione e frantumazione hanno destato in tanti cittadini preoccupazione che, in alcuni momenti, si è espressa in forme di disaffezione e distacco dal confronto politico.

Si sa: un grande disegno di riforma dello Stato o si esprime in nome di una visione unitaria, di uno spirito costituente, o non è tale.

Un prospettiva di rigenerazione istituzionale non si impone né con le spallate da una parte, né con le barriere difensive dall’altra.

Si costruisce solo attraverso un confronto di merito, per rispondere alle sacrosante richieste di riforma delle istituzioni e di costruzione di un sistema democratico più vicino ai cittadini, più trasparente, più controllabile.

La preparazione  del seminario odierno è stata alimentata da una esigenza convergente tra la Provincia di Roma che ringraziamo (il presidente Zingaretti e l’assessore Rosati) e l’associazione “IL CAMPO   –  Idee per il futuro”, che ho l’onore di presiedere.
La Provincia di Roma  invia da qui  oggi un segnale molto importante, di rilievo nazionale, che mette in primo piano la costruzione di una nuova solidarietà e coesione.

Il  ruolo essenziale di Roma capitale si pone in evidenza in quanto possibile e necessario elemento di coagulo, di aggregazione rispetto al duello prevalente finora tra Nord e Sud, tra egoismi e rancori.

L’associazione “IL CAMPO”, impegnata sin dalla sua fondazione sui temi del rinnovamento politico e istituzionale, dopo aver partecipato alle  importanti campagne di sensibilizzazione  contro  la devolution leghista nell’ambito del comitato nazionale “Salviamo la Costituzione”, avvertiva da tempo l’esigenza di una riflessione più approfondita con interlocutori non solo  politico istituzionali, ma anche espressione della società civile, di talenti  e professionalità acclarate.

Siamo grati alla associazione “Avvocati per l’Europa” e all’Ordine degli avvocati di Roma per la disponibilità espressa a costruire insieme questa esperienza originale di confronto.

Negli anni scorsi infatti la discussione sulle tematiche fiscali, oscillava prevalentemente tra considerazioni aride sugli introiti e sulle evasioni.

Da un po’ di tempo in qua, invece, si coglie finalmente la voglia di riportare il tema al centro della dialettica tra poteri e diritti, tra Stato e cittadini.

 Preoccupa però ancora la ventata di retorica che tende ad attribuire più importanza alle parole che alle cose.

Ragionando infatti come se l’Italia fosse già un paese federale, il ministro Calderoli, nell’avanzare la sua proposta al Consiglio dei Ministri, si era spinto ad affermare che “la mancanza di Federalismo fiscale affossa la competitività del sistema e rischia di spaccare il Paese”.

Dimenticando dunque che l’Italia è ancora divisa per l’incapacità di accelerare vere politiche di coesione, mete unitarie e nazionali di sviluppo (come da anni documenta la SVIMEZ).

Il vero tema quindi non è se accettare o meno la sfida sul Federalismo, ma perché e quale riforma in senso federalista possa essere davvero utile all’Italia.

In che forme e in quali tempi si possa costruire un nuovo patto fiscale tra lo Stato e i cittadini senza offuscare i nodi cruciali relativi alla concezione della democrazia e al rispetto della Costituzione.

Lo ha ricordato con autorevolezza nelle settimane scorsa proprio da Venezia il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quando ha affermato che “ la Costituzione è una riserva preziosa, su cui far leva…ben oltre il sessantesimo anniversario della stessa.
L’unità e indivisibilità della Repubblica resta valore storico e principio regolatore fondamentale di certo non negoziabile”.

E’ un monito solenne che incontra la volontà del legislatore secondo quanto previsto dall’art. 117 – legislazione esclusiva, lettera m – circa i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali garantiti su tutto il territorio nazionale.

E il richiamo del Presidente sembra inoltre ravvivare quanto statuito dall’art. 3 della nostra Costituzione, circa il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

L’esigenza di un federalismo maturo che garantisca l’equità sociale si può evincere altresì  dalla spesso citata indagine di Confcommercio sull’orientamento degli Italiani in materia di Federalismo: il 62% degli intervistati considera la riforma importante, anzi ritiene che possa contribuire ad un assetto democratico più moderno;  ben il 75,2% di essi ha espresso tuttavia preoccupazioni, prevedendo disagi in alcuni territori rispetto ad altri.

Non è forse questa una espressione di consapevolezza diffusa di quel dualismo tanto strutturale da dover essere affrontato?

 La Costituzione, non a caso, sempre all’ art. 3 afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’ eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, sociale ed economica del Paese”.

Oggi tutto sembra più attutito , in qualche misura anche più agevole, ma lo scontro negli anni scorsi è stato durissimo:

1)      quanta retorica sulla Secessione ? Fino a quel vessillo sul campanile di S. Marco

     a Venezia…;   

2)      e la campagna sulla devoluzione, poi respinta a larga maggioranza dagli Italiani nel referendum (ringrazio il sen. Andrea Manzella, protagonista di tante battaglie nel Senato della Repubblica e sulla stampa);

3)      e poi la legge regionale lombarda sul Federalismo fiscale, votata a maggioranza e riproposta, dopo le recenti elezioni politiche, al Senato con l’idea che la perequazione orizzontale potesse agire dalle regioni ricche a quelle più deboli, eludendo completamente il necessario intervento dello stato centrale.
Che paradosso! Mentre da un lato si predicava il verbo federalista, dall’altro si affidava a un “sinedrio di tutte le regioni” la vigilanza sull’uso dei fondi, differenziando i ruoli delle regioni vigilanti rispetto ad altre regioni a responsabilità limitata.

Una visione questa  che evidentemente intaccava il principio dell’autonomia regionale e che non a caso è stata poi modificata (vedi relazione in cartella del prof. Silvio Gambino).

La correzione sia chiaro è intervenuta sulla base di una dialettica molto forte che ha visto protagoniste le Regioni e l’intero sistema delle autonomie (ANCI, UPI, Lega delle Autonomie, ecc…).

 Permettetemi di registrare con soddisfazione come la mia Regione, la Calabria, sia protagonista sulla materia con proposte approfondite e avanzate ( ringrazio il presidente Loiero per la sua presenza e il suo contributo) .

Esprimo inoltre un vivo apprezzamento nei confronti della SVIMEZ (Società per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) per il lavoro prezioso che ha impostato prima attraverso  i contenuti del quaderno n. 12 e poi con il documento illustrato nei giorni scorsi nel corso dell’audizione presso le Commissioni congiunte del  Senato.

Giustamente SVIMEZ ricorda che : “Dal rifiuto del criterio della spesa storica, il Mezzogiorno ha tutto da guadagnare, purché i provvedimenti vengano attuati in modo tecnicamente corretto e sul piano civile e intellettuale onesto.”

 La simulazione effettuata sui dati del Ministero dell’Economia e della Corte dei Conti mostra che il Sud, secondo il d.dl. Calderoli perderebbe oltre 1 miliardo di euro per funzioni c.d. non essenziali, ma assolutamente rilevanti per lo sviluppo regionale, evitando che la distribuzione delle risorse federaliste vada ad aggravare gli equilibri economici esistenti al Sud.

E’ importante che queste proposte abbiamo allargato il confronto e perciò abbiamo chiesto al Prof. Federico Pica di illustrare sinteticamente le novità intervenute e i problemi ancora non risolti.

Siamo interessati a delineare un livello più alto del confronto perché non abbiamo mai pensato alla difesa  nostalgica dello status quo.
Anzi è appena il caso di ricordare che quando anni fa, alcuni di noi in Parlamento votarono l’abolizione della Cassa per il Mezzogiorno, lo fecero proprio perché riponevano grandi speranze in un intervento ordinario dello Stato teso a valorizzare al massimo il potere autonomo delle Regioni.
Sappiamo certo che esse in molti casi non hanno funzionato al meglio; accanto a novità indubbie nell’esercizio del potere democratico, hanno a volte trascinato episodi clamorosi di cattiva gestione e di sperpero del denaro pubblico.

Oggi la necessaria riforma in particolare dell’art. 119 deve verificare le condizioni reali di pieno esercizio dei poteri trasferiti alle Regioni e alle Autonomie locali.

Chiudendo la forbice, oggi ancora evidente tra un Federalismo annunciato e un neo Centralismo praticato (anche attraverso i recenti provvedimenti relativi al taglio dell’ICI e al contenimento della spesa).
E’ auspicabile che in tale direzione scaturiscano finalmente elementi di novità nella Conferenza straordinaria che il ministro Fitto ha preannunciato per giovedì prossimo tra Governo e Regioni.
Ribadiamo inoltre che anche le regioni del Sud devono necessariamente impegnarsi a rientrare dal debito e a governare la transizione dalla “spesa storica” all’individuazione di costi standard in grado di garantire i servizi essenziali per tutti i cittadini.
E’ il modo migliore per superare l’oscillazione rituale tra egoismi nordisti e rivendicazioni sudiste, sapendo che gli scenari mondiali, le dirompenti ripercussioni della grave crisi finanziaria, obbligano tutti noi a compiere un salto di qualità nell’analisi e nelle proposte.

L’indicatore elaborato dalla Commissione europea , riferito all’intera area UE perde dieci punti, passando da 96,5 a 86,9 valori minimi degli ultimi anni.

In Italia il clima economico (pubblicato dall’ISAE) scende dal 96,2 a 86,5 – dieci punti, collocandosi sui minimi del 1993.

Questo mutamento di clima naturalmente si diffonde in modo omogeneo sul territorio nazionale.

E nel Sud si avverte con ancor più evidenza giacché, come ha ricordato SVIMEZ nel suo recente rapporto 2008: “ Sono ormai sei anni consecutivi che il Mezzogiorno cresce meno del resto del Paese. Dal 2003 ad oggi nell’ultimo quadriennio l’incremento cumulato del prodotto del Sud è stato pari a poco più di un terzo di quello del Centro – Nord (2,4%

contro 6,4%)”.  Com’è agevole comprendere, si tratta di una vera e propria interruzione brusca del processo di convergenza.

L’Italia – dice il CERM in una sua recente ricerca – si presenta all’appuntamento con il federalismo, ereditando un divario geografico particolarmente pronunciato in termini di sviluppo economico, rendendosi così imprescindibile la necessità di procedere a riforme strutturali. Altrimenti l’indice di dipendenza strutturale si potrà configurare sin da subito come un vero e proprio “ indice di rottura” .

Ma allora che senso ha ragionare ancora a compartimenti stagni?

Il 7 Novembre scorso, la rivista il Mondo in un dossier dedicato al Veneto, sul Federalismo, ha fatto l’analisi di “chi ci guadagna e chi ci rimette”.

E’ stata  messa in primo piano “la carica delle microimprese venete alla conquista dell’Est”, che i quelle aree vanno a gonfie vele nonostante la crisi internazionale.

Noi apprezziamo molto questi punti di eccellenza del “Sistema-Paese”, ma chiediamo:” E’ proprio obbligatorio che guardino solo all’Est o possono cominciare a guardare anche al Centro e al Sud dell’Italia?”

Quest’area oggi può essere di nuovo utile al Nord più che sessant’anni fa.

Si fa un gran parlare dei 100 miliardi di fondi europei che saranno investiti entro il 2013. Come saranno spesi?

E’ un problema solo dei cittadini meridionali  o si riuscirà ad agire anche nel Sud sulla scorta di una visione nazionale dello sviluppo. Nuove mete collettive saranno in grado di sorreggere le forze che nel Mezzogiorno vogliono dare una svolta alla qualità e trasparenza della spesa?

Superiamo gli steccati, ragioniamo in un’ottica davvero europea.

Quando ad esempio ,in tema di Federalismo, si citano  l’ esperienza tedesca e quella spagnola, occorre  riconoscere che in queste due nazioni i tassi di crescita sono diventati superiori a quelli italiani e che un forte imput è venuto  proprio dall’accelerazione del tasso di sviluppo delle loro aree deboli.

Se n’è discusso poche settimane fa in un seminario alla Camera dei Deputati, presenti tra gli altri gli onorevoli Fini, Fitto e Lanzillotta.

Proprio dagli esponenti tedeschi e spagnoli abbiamo ascoltato riflessioni tese a temperare e correggere alcuni entusiasmi italiani da neofiti .

Non ci hanno raccomandato di far presto e comunque, ma hanno sottolineato la riflessione in corso sulle loro esperienze, con alcuni accenti anche autocritici su limiti vistosi, da correggere.

E abbiamo potuto comprendere (anche alla luce dell’esperienza attuata in Spagna e Germania )che specialmente in Italia , per le contraddizioni storiche ancora non superate,

una esperienza di riforma federalista potrà avere successo solo se  adeguatamente sorretta da novità significative nei processi di convergenza.

La Commissione Europea ha presentato, il 6 ottobre 2008, il “Libro Verde sulla coesione territoriale”, su cui ha aperto una consultazione al fine di migliorare la governance della politica di coesione, rendendola più flessibile, più capace di adeguarsi al livello territoriale e coordinarsi con le politiche al livello nazionale ed europeo. 

Il sistema Italia dunque per evitare il declino o anche solo il declassamento del Paese, dovrà saper utilizzare  meglio sia il Centro che il Sud, inaugurando nuovi raccordi non solo verso gli sbocchi di mercato, ma innanzi tutto nella cooperazione per lo sviluppo, nel dialogo interculturale, civile e religioso che si sono ormai aperti nel Mediterraneo e nel rapporto con l’area mediorientale.

La Comunità Euro Mediterranea, voluta fortemente da Sarkozy, Prodi e Zapatero è oggi una realtà in movimento.

E proprio nei giorni scorsi ha deciso anche che Barcellona è la sua città di riferimento.

Chiediamo che Roma rinsaldi da subito  la propria funzione ,in questo scenario, per dare un impulso decisivo alla coesione dell’Italia e  al rafforzamento del suo ruolo europeo e internazionale.

On. Giuseppe Soriero

Presidente associazione IL CAMPO

”.  

Autore

Redazione

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