Si avvicina il derby dell’Immacolata. Si giocherà l’otto di dicembre alle 15,00 in diretta Tv, presumibilmente a porte aperte solo per gli abbonati rossoblu o per abbonati e residenti nella provincia cosentina. O addirittura, ma è ipotesi remota, a porte aperte e con dei biglietti da destinare ai tifosi giallorossi. Addirittura, siamo arrivati a scrivere: dovrebbe essere la normalità, in altri tempi lo era. Facciamo i conti con la realtà, allora: c’è una piccola possibilità, quella del dialogo con le Istituzioni. Casms, Prefetture, Comune di Catanzaro e quello di Cosenza.
Questa partita può rappresentare un grande spot per la Calabria. Molto più delle comparsate pubblicitarie durante le partite della Nazionale di Lippi. La Calabria non è solo Foti e Brienza, lo facciamo vedere a tutti? Ci persone in città che hanno risorse per mandarlo avanti, questo dialogo. Ci sono rappresentanti delle Istituzioni che hanno le capacità per ottenere un risultato storico. La curva del Catanzaro ha dato più volte dimostrazione di civiltà. Allora perché non provarci? Un Cosenza-Catanzaro vetrina per le due città, un evento pacifico e festoso, un’occasione che le due tifoserie aspettano da venti anni. Sarebbe una giornata da ricordare.
In caso contrario, pensate a un derby a porte chiuse: all’andata per televisione, sul divano. Al ritorno, in campo i giocatori del Cosenza, e la vecchia est vuota. In silenzio. Ma che partite sono? Ma che calcio è? Allora se ne parli. I tifosi del Catanzaro potrebbero essere ospitati idealmente da quelli del Cosenza, che poi sarebbero a loro volta accompagnati nella curva Mammì dai nostri tifosi, a maggio. Non un gemellaggio fra tifoserie, ma un reciproco riconoscersi il diritto a vivere insieme l’evento, dimostrando la volontà di assistere ad uno spettacolo che senza la tifoseria avversaria rimarrebbe monco. Può essere un esperimento pilota, magari per un numero limitato di tifosi, garantiti dalle istituzioni. Proviamo a riportare lo sport verso la gente, restituiamo il fenomeno alle città. Scrivemmo nel dopo Raciti che tifoso, ultrà non è sinonimo di delinquente, e chi delinque va perseguito a termini di legge, né più né meno. Che lo spettatore che va a vedere una partita, in una qualsiasi città che può anche non essere la sua, dev’essere trattato come uno che ha speso del denaro per assistere a uno spettacolo e che, presumibilmente, non invaderà il campo o le delimitazioni del proprio settore per aggredire qualcuno. Chi viene portato in gabbia si comporta da bestia, chi invece viene trattato da persona civile può darsi che si comporti da persona civile. E in caso contrario si può inchiodare alle sue responsabilità con strumenti legislativi e attuativi all’altezza. Penso a qualche trasferta in stadi in cui la partita la vedevi dietro una grata metallica, davanti, di lato e anche sopra. Con i manganelli dietro le spalle e la sensazione di stare lì come ospite sgradito più che come co-fruitore di uno spettacolo. Pagante, per giunta. Questa è la direzione sbagliata. E allora diamo fiducia alla gente, cominciamo a parlare di derby a porte aperte, se ne discuta. Proviamo a tornare verso la normalità, che è quella per cui chi si comporta bene può acquistare qualsiasi evento sportivo sul territorio nazionale a prescindere dalla sua residenza anagrafica.
Si preferisce avere il diritto di cantare “Vi romperemo il culo” in uno stadio senza tifosi avversari o si vuole imboccare la strada della convivenza pacifica, con una reale condivisione dell’evento sportivo? Guardare una partita dagli spalti e non su un divano o da una gabbia? La strada è lunga, indubbiamente, e piena di difficoltà. Ma darsi sconfitti non è da paese civile.
Noi da questa testata lanciamo l’idea. E aspettiamo che venga raccolta. Dalla gente, soprattutto. Insieme si può, se si vuole davvero. Parliamone coi cugini, sarà già una vittoria. E non si dia mai per scontato il fatto che una partita di calcio sia per definizione “a rischio” e proibita al pubblico. Un calcio senza pubblico è la peggiore delle sconfitte.
Questa partita può rappresentare un grande spot per la Calabria. Molto più delle comparsate pubblicitarie durante le partite della Nazionale di Lippi. La Calabria non è solo Foti e Brienza, lo facciamo vedere a tutti? Ci persone in città che hanno risorse per mandarlo avanti, questo dialogo. Ci sono rappresentanti delle Istituzioni che hanno le capacità per ottenere un risultato storico. La curva del Catanzaro ha dato più volte dimostrazione di civiltà. Allora perché non provarci? Un Cosenza-Catanzaro vetrina per le due città, un evento pacifico e festoso, un’occasione che le due tifoserie aspettano da venti anni. Sarebbe una giornata da ricordare.
In caso contrario, pensate a un derby a porte chiuse: all’andata per televisione, sul divano. Al ritorno, in campo i giocatori del Cosenza, e la vecchia est vuota. In silenzio. Ma che partite sono? Ma che calcio è? Allora se ne parli. I tifosi del Catanzaro potrebbero essere ospitati idealmente da quelli del Cosenza, che poi sarebbero a loro volta accompagnati nella curva Mammì dai nostri tifosi, a maggio. Non un gemellaggio fra tifoserie, ma un reciproco riconoscersi il diritto a vivere insieme l’evento, dimostrando la volontà di assistere ad uno spettacolo che senza la tifoseria avversaria rimarrebbe monco. Può essere un esperimento pilota, magari per un numero limitato di tifosi, garantiti dalle istituzioni. Proviamo a riportare lo sport verso la gente, restituiamo il fenomeno alle città. Scrivemmo nel dopo Raciti che tifoso, ultrà non è sinonimo di delinquente, e chi delinque va perseguito a termini di legge, né più né meno. Che lo spettatore che va a vedere una partita, in una qualsiasi città che può anche non essere la sua, dev’essere trattato come uno che ha speso del denaro per assistere a uno spettacolo e che, presumibilmente, non invaderà il campo o le delimitazioni del proprio settore per aggredire qualcuno. Chi viene portato in gabbia si comporta da bestia, chi invece viene trattato da persona civile può darsi che si comporti da persona civile. E in caso contrario si può inchiodare alle sue responsabilità con strumenti legislativi e attuativi all’altezza. Penso a qualche trasferta in stadi in cui la partita la vedevi dietro una grata metallica, davanti, di lato e anche sopra. Con i manganelli dietro le spalle e la sensazione di stare lì come ospite sgradito più che come co-fruitore di uno spettacolo. Pagante, per giunta. Questa è la direzione sbagliata. E allora diamo fiducia alla gente, cominciamo a parlare di derby a porte aperte, se ne discuta. Proviamo a tornare verso la normalità, che è quella per cui chi si comporta bene può acquistare qualsiasi evento sportivo sul territorio nazionale a prescindere dalla sua residenza anagrafica.
Si preferisce avere il diritto di cantare “Vi romperemo il culo” in uno stadio senza tifosi avversari o si vuole imboccare la strada della convivenza pacifica, con una reale condivisione dell’evento sportivo? Guardare una partita dagli spalti e non su un divano o da una gabbia? La strada è lunga, indubbiamente, e piena di difficoltà. Ma darsi sconfitti non è da paese civile.
Noi da questa testata lanciamo l’idea. E aspettiamo che venga raccolta. Dalla gente, soprattutto. Insieme si può, se si vuole davvero. Parliamone coi cugini, sarà già una vittoria. E non si dia mai per scontato il fatto che una partita di calcio sia per definizione “a rischio” e proibita al pubblico. Un calcio senza pubblico è la peggiore delle sconfitte.
Giannantonio Cuomo