Si conclude con l’assoluzione con formula piena sentenziata ieri mattina dalla Corte d’Appello la vicenda giudiziaria che per anni ha visto protagonista Antonio Amerato, responsabile della società a responsabilità limitata “Geim Calcestruzzi”.
Il procedimento a carico dell’imprenditore 69enne trae origine da una denuncia anonima ricevuta nel febbraio del 2005 dagli uffici del Corpo Forestale dello Stato. Giunti sul posto segnalato nell’esposto, un vasto appezzamento di terreno in località Sansinato, i militari sequestrarono un’area di quattromila mq ed un escavatore; secondo l’accusa la superficie sarebbe stata interessata da un’imponente attività di sbancamento posta in essere in quei giorni da Amerato.
Poco dopo l’apposizione dei sigilli venne convalidata dal gip il quale, peraltro, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Luigi De Magistris ordinò il sequestro preventivo dell’area e del mezzo meccanico. A seguito del provvedimento cautelare, il pm emise il decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale contestando al titolare della società “Geim Calcestruzzi” l’illecito urbanistico per aver realizzato abusivamente, in assenza del prescritto permesso di costruire, lo sbancamento di un vasto versante collinare (per intenderci la collina alle porte della città, a fianco dell’omonima galleria sulla strada statale 280). Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, condannò in primo grado Antonio Amerato alla pena di tre mesi di arresto e dodicimila euro di ammenda.
La sentenza venne però appellata dalla difesa di Amerato, che ha contestato la fondatezza dell’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura della Repubblica sia sotto il profilo della sussistenza del fatto sia sul fronte dell’ascrivibilità dello stesso all’imprenditore 69enne. E ieri, al termine della relativa udienza e dopo una lunga discussione, la sezione penale della Corte d’Appello (presidente Talerico, consiglieri Marchianò e Petrini) ha disatteso la richiesta del sostituto procuratore generale Domenico Prestinenzi che chiedeva la conferma della condanna inflitta in primo grado ed accolto invece la tesi difensiva sostenuta dagli avvocati Stefano Nimpo e Francesco Iacopino.
In particolare i due legali di Amerato, in oltre un’ora di discussione, hanno dimostrato le incertezze esistenti nella ricostruzione del fatto, l’erronea valutazione dei documenti acquisiti in primo grado che avrebbero dovuto consentire al Tribunale di escludere la responsabilità di Amerato e, infine, l’inutilizzabilità di prove che sarebbero state acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Per queste ragioni gli avvocati Nimpo e Iacopino hanno chiesto l’assoluzione del loro assistito con formula piena; assoluzione che la Corte ha concesso, evidentemente convinta dell’insussistenza dell’ipotesi accusatoria.
Il procedimento a carico dell’imprenditore 69enne trae origine da una denuncia anonima ricevuta nel febbraio del 2005 dagli uffici del Corpo Forestale dello Stato. Giunti sul posto segnalato nell’esposto, un vasto appezzamento di terreno in località Sansinato, i militari sequestrarono un’area di quattromila mq ed un escavatore; secondo l’accusa la superficie sarebbe stata interessata da un’imponente attività di sbancamento posta in essere in quei giorni da Amerato.
Poco dopo l’apposizione dei sigilli venne convalidata dal gip il quale, peraltro, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Luigi De Magistris ordinò il sequestro preventivo dell’area e del mezzo meccanico. A seguito del provvedimento cautelare, il pm emise il decreto di citazione a giudizio davanti al Tribunale contestando al titolare della società “Geim Calcestruzzi” l’illecito urbanistico per aver realizzato abusivamente, in assenza del prescritto permesso di costruire, lo sbancamento di un vasto versante collinare (per intenderci la collina alle porte della città, a fianco dell’omonima galleria sulla strada statale 280). Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, condannò in primo grado Antonio Amerato alla pena di tre mesi di arresto e dodicimila euro di ammenda.
La sentenza venne però appellata dalla difesa di Amerato, che ha contestato la fondatezza dell’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura della Repubblica sia sotto il profilo della sussistenza del fatto sia sul fronte dell’ascrivibilità dello stesso all’imprenditore 69enne. E ieri, al termine della relativa udienza e dopo una lunga discussione, la sezione penale della Corte d’Appello (presidente Talerico, consiglieri Marchianò e Petrini) ha disatteso la richiesta del sostituto procuratore generale Domenico Prestinenzi che chiedeva la conferma della condanna inflitta in primo grado ed accolto invece la tesi difensiva sostenuta dagli avvocati Stefano Nimpo e Francesco Iacopino.
In particolare i due legali di Amerato, in oltre un’ora di discussione, hanno dimostrato le incertezze esistenti nella ricostruzione del fatto, l’erronea valutazione dei documenti acquisiti in primo grado che avrebbero dovuto consentire al Tribunale di escludere la responsabilità di Amerato e, infine, l’inutilizzabilità di prove che sarebbero state acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Per queste ragioni gli avvocati Nimpo e Iacopino hanno chiesto l’assoluzione del loro assistito con formula piena; assoluzione che la Corte ha concesso, evidentemente convinta dell’insussistenza dell’ipotesi accusatoria.
Giuseppe Lo Re