1936 – Alle ore 8 viene trovato, sotto il ponte di Siano (struttura ad arco unico con un’altezza massima di 54 metri, progettato dall’Ing. Prof. Emanuelli docente di ponti alla scuola di Ingegneria di Roma, costruito dalla ditta Sacripante ed Emanuelli di Roma a partire dall’ottobre del 1928 ed inaugurata nei primissimi anni ‘30), il corpo di Giuseppe Veraldi detto “Pepè”, di anni 19, muratore, abitante in via Baracche. Intorno a tale avvenimento la nostra città assurgerà alle cronache nazionali anche in periodi molto recenti. Il cadavere indossa solo un paio di mutandine ed una calza al piede sinistro; gli altri indumenti sono sparsi sul terreno. Le ferite riportate dal Veraldi (escoriazioni diffuse e solo fratture alla testa) e le modalità di ritrovamento dei vestiti inducono la maggior parte dei cittadini a ritenere che più che di suicidio si tratti di omicidio. Fra le tante persone che dalla collinetta vicina guardano il cadavere adagiato ai piedi del ponte, anche Maria Talarico, giovane di 14 anni abitante a Siano, lavoratrice domestica, ben voluta da tutti, non fumatrice e raramente bevitrice di vino date le scarse possibilità economiche del padre. Non conosce il giovane suicida, le due famiglie (Veraldi e Talarico) non si sono mai incontrate. Il 5 Gennaio del 1939, a distanza di tre anni circa dall’avvenimento, Maria ritorna a casa, in compagnia della nonna, da una visita fatta in città alla madre che lavora alla Scuola Agraria; passa sul ponte e dopo essersi fermata a guardare verso il luogo dove era stato rinvenuto il cadavere del giovane Veraldi, si sente male. Trasportata presso la propria abitazione con l’aiuto di altre persone, con voce che tutti identificano con quella di un uomo dice di essere “Pepè” e di voler vedere la propria madre Caterina, abitante nel rione Baracche; poiché le riferiscono che la signora Caterina non può venire, le manda un biglietto nel quale scrive di essere “il vostro figlio disgraziato”. Alle ore 20, Maria chiede di organizzare una partita a briscola fra quattro uomini, da lei scelti a caso fra la folla, che chiamerà con nomi che risulteranno uguali a quelli degli amici di “Pepè”: Abele, Totò, Rosario, Damiano. Soliti giocare a carte nella bettola denominata “Giose”, erano stati visti in compagnia di Pepè l’ultima volta, esattamente alle cinque del mattino del giorno del suo ritrovamento. Durante ogni partita, Maria fuma molto e beve sistematicamente quattro bicchieri di vino e pronuncia queste frasi: “Come voi mi avete ubriacato quella sera, così dovrete farlo questa sera, mettendomi nel vino zucchero, sale, papavero, come avete fatto allora”; ed ancora: “Ricordate quella sera che mi avete avvelenato il vino? Il bicchiere mi si ruppe.” Mentre pronuncia le ultime parole, il fondo del suo bicchiere si stacca e va a terra. Dopo la partita, Maria si sente male, vomita tutto ed inveisce contro Abele e Totò gridando: “lo picchiano e con l’aiuto degli altri due (Rosario e Damiano) lo trascinano sotto il ponte”. La mattina successiva Maria, assumendo ancora la personalità di Pepè, avverte la vicinanza della madre Caterina e le corre incontro dopo aver previsto la sua partenza dalle “Baracche”, il passaggio sul ponte, l’arrivo davanti casa sua. Alla domanda della madre su “chi ti ha ucciso?” risponde coi nomi dei quattro giocatori e racconta con dovizia di particolari quanto è avvenuto. L’avvelenamento col vino, il pestaggio per opera dei quattro amici nei pressi della Caserma dei Cappuccini, il trascinamento sotto il ponte, l’adagiamento del cadavere con la testa sopra una pietra, tutto per simulare il suicidio. Maria durante la giornata incontra due uomini nei quali riconosce i suoi fratelli Raffaele (al quale esprime il piacere di vederlo) e Giovanni (con il quale parla solo per rimproverarlo di non rispettare la madre Caterina), il proprietario della locanda, gestita dalla moglie Teresa, nella quale soleva trascorrere le ore libere; con lui ripercorre l’ultima serata trascorsa insieme ai suoi assassini, incontra anche l’amico Fabiano al quale chiede un panino con mortadella ed una bottiglia di brillantina (cose che il Veraldi usava comprare). Con altri amici ricorda che amava cantare la canzone “non ti scordar di me” e che aveva lavorato alla Tramvia. La madre si congeda per far ritorno in città dopo aver raccomandato a “Pepè” di lasciare la ragazza e di non farle del male. Maria esprime il desiderio di ritornare sotto il ponte: seguita da una grande folla, percorre il sentiero che porta sul greto del torrente, si butta a terra assumendo esattamente la posizione occupata dal corpo del Veraldi. Dopo pochi minuti, come se si svegliasse da un lungo sonno, si alza e chiede che cosa fosse successo. Maria non ricorderà più nulla dell’accaduto.
Agli avvenimenti di quei due giorni erano presenti oltre che i famigliari di Maria e le persone che di volta in volta andavano a trovarla anche altri testimoni (identificati con nome e cognome) che seguivano la vicenda sia per interessi medico-scientifici, in quanto “caso di personalità indotta” oggetto di studio da parte della Società Italiana di Metapsichica, che per espletare indagini di carattere giudiziario al fine di assicurare alla giustizia gli eventuali assassini.
Agli avvenimenti di quei due giorni erano presenti oltre che i famigliari di Maria e le persone che di volta in volta andavano a trovarla anche altri testimoni (identificati con nome e cognome) che seguivano la vicenda sia per interessi medico-scientifici, in quanto “caso di personalità indotta” oggetto di studio da parte della Società Italiana di Metapsichica, che per espletare indagini di carattere giudiziario al fine di assicurare alla giustizia gli eventuali assassini.
1912 – Presso il Circolo Squillace, Gaetano Salvemini intrattiene il pubblico con una conferenza contro l’analfabetismo.
Tratto da: La storia di Catanzaro in … 365 giorni da ricordare di Claudio RUGA e Renato CAROLEO