All’indomani dell’articolo di Giuseppe Martino
L’affondo durissimo di Ulixes: “continuiamo a prenderci in giro. Si vince con i voti della mafia e se ne pagano le inevitabili conseguenze”.
Anno zero ha reso un pessimo servizio
L’articolo di Giuseppe Martino di giorno 20, dedicato all’incontro con Gian Antonio Stella tenutosi a Catanzaro, rappresenta una sintesi efficacissima dei nodi e delle questioni che si legano al tema legalità. Proprio noi dell’associazione Ulixes, promotori dell’incontro, non potevamo esimerci dall’arricchire questa discussione. Anzi premettiamo che l’augurio sarebbe di vedere questa pagina regionale del giornale offrirsi agli spunti quotidiani di interventi ed osservazioni sul tema (in linea con quella continuità dello stimolo dell’opinione pubblica cui facevamo accenno all’incontro del 19). Martino focalizza l’attenzione su tre elementi: istituzioni presenti, leggi efficaci e tribunali funzionanti, un giornalismo informatore imparziale. Su questi tre elementi è lecito attendersi quel binario doppio e parallelo rappresentato dall’edificazione delle strutture e della cultura della legalità. L’un elemento concorre alla formazione dell’altro ed entrambi costituiscono i fondamenti d’un vero Stato di diritto. Se consideriamo gli elementi evidenziati da Martino gli ultimi giorni non esprimono un particolare passo avanti in tal senso. L’impressione è che ci stiamo prendendo ancora una volta in giro. Drammaticamente in giro. Stato presente, in primo luogo, non è l’editto Mastelliano o la pillola dell’amministratore di turno. Come ogni guerra non prescinde da strategie articolate per assicurarsene l’esito favorevole, così la “guerra” di Calabria (perché tale è e sarebbe ipocrita non ammetterlo, visti i dati relativi alla ‘ndrangheta) si vince solo attraverso una strategia integrata che tenga conto dei vari aspetti dalla questione e l’istituzione di tavoli appositi che preparino non singoli atti ma percorsi articolati e strategie comunicanti. Perché se è vero che è importante facilitare il lavoroo delle procure è altrettanto importante pensare a bloccare i legami perversi al momento elettorale (che significa disegno di legge Lazzati ma anche allargamento delle sezioni elettorali, forze dell’ordine ai seggi che controllino l’eventuale presenza di telecamerine o videofonini, modifica dello stesso sistema elettorale regionale), l’implementazione dei servizi segreti ed, aggiungeremmo, un atteggiamento degli amministratori e dei governanti che possa essere emblema d’indipendenza e di sostanziale integrità morale. Il tavolo con Mastella dunque ci fa scivolare in uno stato di grande timore e il fatto che si levino commenti positivi, quasi entusiastici, spaventa ancora di più. Perché sono decenni che viviamo di interventi a pioggia, in tutti i campi, sintomo di una considerazione del sud come serbatoio di consenso clientelare o di figlioletto monco, cui piegare il piagnisteo con il gelato della domenica. Sul piano del problema dell’integrità morale la situazione è ancora peggiore. Non solo da parte di chi rappresenta le istituzioni regionali. Lì i compari dei compari sono l’aberrazione più grave della democrazia rappresentativa. Continua a rimanere costante il silenzio sulla vicenda BURC, sui capi d’accusa che coinvolgono decine di consiglieri, su un rimpasto di giunta che non ha dato un solo,unico segnale di decoro, dignità, rispetto dell’elettorato. Ma a livello nazionale possiamo credere, onestamente, che Marco Minniti, rappresentante calabrese al ministero dell’interno, abbia le caratteristiche per ergersi quale promotore d’una strategia seria e concreta per la legalità in regione? L’uomo che si è arroccato a difesa d’un partito malato, anzi, criminale nella sua gestione della cosa pubblica. Le vicende Adamo e Pacenza sono due ferite ingiustificabili e dalle quali occorreva prendere distanza. Sarebbe stato più dignitoso. E invece il sig. Minniti ha addirittura interpretato una sentenza del Tribunale della libertà in modo biecamente strumentale. In quella sentenza l’impianto delle accuse (gravissime) a Pacenza resta. E resta con tutto il corollario di una riprovevolezza morale che dovrebbe indignare e non indurre a trincea quel che resta dei Democratici di Sinistra. Un partito clan, da ristrutturare. Certo il Minniti dell’altra sera è il pezzo di una trasmissione che giudichiamo pericolosa, offesa a quell’informazione imparziale cui Martino faceva riferimento. Il sign. Santoro è colpevole di due cose: anzitutto la gestione dei tempi, degli spazi e degli ospiti. I dibattiti Minniti/Storace e Minniti /Travaglio sono parsi imbavagliati e i ragazzi sono stati quasi zittiti nel momento in cui hanno tentato di contestualizzare il problema legalità parlando delle radici di questo male. Secondo grave errore è stato portare la trasmissione su un binario sbagliato. C’era da scegliere tra due affermazioni importanti. Quella di Zavattieri: “La mafia uccide per cambiare gli equilibri politici”. E quella di Crea: “Forse Fortugno non aveva ricambiato taluni favori”. Si è scelto, colpevolmente di approfondire la prima. E si badi: c’è il mare in mezzo. Perché se l’affermazione di Zavattieri presta il fianco ad una politica scissa e indipendente dal fenomeno mafia, quella di Crea offriva invece l’immagine di un intreccio drammaticamente inestricabile, che forse aiutava a comprendere le difficoltà concrete di Minniti e anche quelle di Loiero. Non si è scelto infatti di parlare dell’attentato che ha colpito il presidente. Forse le parole di Crea suggerivano che la mafia produce attentati o perché la si sta attaccando o forse per ricordare qualcosa a qualcuno. Ognuno produca i suoi conseguenti ragionamenti. Ma da qui non si scappa. A volte basta davvero ragionare. Gentile direttore, si vince con i voti della mafia. E addirittura, paradossalmente, si può azzardare che visto lo scarto di 25.000 voti alla camera perfino il governo nazionale ha di che rendere conto della sua vittoria. La nostra non è una lettura fiduciosa ma forse è vera. Vera come non lo è stata quella di anno zero. E Santoro è colpevole, perché così continueremo a prenderci in giro. Tutte le considerazioni addotte riportano certo al ruolo dello stato e delle leggi perché la nostra amministrazione regionale non ha forza e virtù per muovere qualcosa. Tanti hanno da saldare il conto. Questa è la verità. La parola, l’unica parola, è davvero dello Stato e forse lì occorre rivolgersi anzitutto senza troppi intermediari locali e senza i Minniti di turno. E occorre chiedere strategie e non pillole. Strategie ragionate e concertate. Non lampi. Nella convinzione, e questo è l’elemento di speranza, che si possa cambiare. Martino paragona la nostra all’esportazione della democrazia. Non è paragone azzardato. Ma la storia dimostra che anche questo è fattibile. Bastino il Giappone o la Germania del secondo dopoguerra. Si può, purchè lo si voglia e lo si dimostri. Ma, gentile direttore, occorre anzitutto mantenere vive la capacità di lettura e quella di critica.
Salvatore Scalzo, Vincenzo Capellupo
Presidenza Associazione Ulixes
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