Il Rompicalcio

Ce lo meritiamo

Scritto da Redazione
Società, squadra, tifoseria: il Catanzaro è tornato ad essere “una speranza schierata su un prato verde”

Ho dormito poco e male stanotte, percorso ancora da brividi che raramente da cronista mi era capitato di provare. Ho ancora negli occhi quel “Ceravolo” pieno come un uovo, nelle orecchie il frastuono dei cori e delle trombe, nel naso l’odore acre e romantico dei fumogeni. Come se il tempo si fosse fermato alle promozioni di 25, 30, 40 anni fa. La magia è sempre lì, in quel tempio indiscusso del calcio calabrese che ieri ha ripreso a ribollire di passione. Il Catanzaro è tornato e ha compiuto un altro passo verso un futuro che profuma di passato.

Salendo verso lo stadio ho pensato a questi lunghi anni di sofferenza, di passione, a volte di dolore. Ho visto una città di palazzi grigi, di muri scrostati e di cassonetti stracolmi, finalmente colorata e felice. Ho scrutato i volti dei malati affacciati dalle finestre dell’ospedale per capire se una partita di pallone potesse lenire le sofferenze almeno per un attimo. Ho sorriso dei sorrisi stampati sui volti dei bambini con le magliette griffate Gicos e in mano una bandierina gialla e rossa. Ho conosciuto tante persone e riabbracciato vecchi amici, finalmente orgogliosi di entrare al “Ceravolo” per riassaporare una gioia. Ho pensato a Umberto Galati, ai ragazzi della redazione di Puntonet e a tutti gli utenti della nostra comunità virtuale e non solo. Che ha litigato, si è divisa e poi si è riunita, ha bestemmiato e ha gioito (poco), ha sofferto ogni maledetto giorno di questi ultimi anni.

Ho pensato a Giuseppe, a Salvatore e a quel manipolo di coraggiosi che hanno sfidato il gelo d’inverno e il sole d’agosto, pur di continuare a tenere accesa quella fiammella di speranza che, per tanti catanzaresi e centinaia di emigrati sparsi nel mondo, è ancora una ragione di vita. Perché il Catanzaro, come ci ha insegnato Nicola Fiorita, non è semplicemente una squadra, ma “una speranza schierata su un prato verde”. È simbolo di riscatto per l’operaio di Mirafiori negli anni 60-70 e motivo d’orgoglio per l’operatore del call center in quest’epoca difficile. Unisce Enzo, professore a Dallas, a Mario, meccanico a Torino. Unisce Lorenzo, consulente in India, a Luca, militare in Libano.

Questo filo giallorosso che lega vite e destini diversi ieri si è ricomposto. Virtualmente attraverso le pagine di questo portale e fisicamente dentro il tempio vestito a festa. Persone che hanno macinato centinaia di chilometri per seguire le gesta del nuovo Catanzaro di Giuseppe Cosentino e di Ciccio Cozza. Che hanno inondato di affetto questi due uomini calabresi artefici della rinascita, tributando loro il giusto riconoscimento per il trionfo sportivo. Il Catanzaro oggi ha un presidente appassionato che saltella come un grillo davanti a un pubblico ubriaco di felicità. E un allenatore che è riuscito a spremere un gruppo di ragazzi meravigliosi fino all’ultima goccia di sudore e di energia. E ha vinto.

Società, squadra e tifoseria ieri hanno raccolto i frutti di una stagione lunghissima, segnata dalle difficoltà iniziali e da un calendario folle. Dai 30 di Melfi ai 12.000 di ieri, è cambiato tanto. Nei prossimi giorni, passata la sbornia collettiva, inizierà il futuro. Fabio a Catanzaro ricomincerà a seguire le lezioni all’università, mentre Carla a Reggio Emilia riprenderà a battere scontrini. Cozza e Cosentino mercoledì si siederanno intorno a un tavolo per iniziare a pianificare la prossima stagione. Per la prima volta, dopo vent’anni di società-fantasma e mestieranti della politica prestati al pallone, si può ricominciare a farlo già dai primi di maggio. E noi ci saremo, come sempre, e ve lo racconteremo con passione e la solita onestà di cui andiamo fieri. Per ora pensiamo a festeggiare, a goderci questo momento tanto atteso, questo Catanzaro finalmente vincente. Ce lo meritiamo.

Ivan Pugliese

ivan@uscatanzaro.net

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