Lettera a Marco

Un pezzo speciale della rubrica “Invasioni di Campo” nel giorno dell’ottavo anniversario della morte di Pantani. Il ricordo del Pirata di Emanuele Ferragina

La rubrica Invasioni di Campo nasce per raccontare delle storie che escono dal recinto di Catanzaro, del Catanzaro e di un rettangolo verde. Storie di sport, di grandi campioni o di uomini meno noti, racconti di vita. Così oggi, nell’ottavo anniversario della tragica scomparsa di Marco Pantani, UsCatanzaro.net dedica una pagina ad un campione del nostro tempo. Che ha saputo unire tutti i tifosi di ciclismo, coinvolgendo tanti sportivi lontani dal mondo faticoso e spesso malato delle due ruote. Marco Pantani era il campione di tutti all’apice della sua carriera. E si è ritrovato solo nella polvere di una fredda stanza d’albergo. Lì, proprio nel giorno di San Valentino, si è chiusa la grande storia d’amore tra il Pirata e la sua gente. Una metafora della vita raccontata per noi, attraverso un ricordo delle imprese di Pantani, da Emanuele Ferragina.

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Caro Marco,

Ti scrivo di getto. Ogni 14 Febbraio da otto anni, il mio primo pensiero in questa giornata va a te. Non sono mai stato attaccato alla fama o ai personaggi celebri. Ma quella notte, di fronte al telegiornale che annunciava la tua morte, ho sentito come un pugno nello stomaco, un dispiacere sincero e profondo. Un dispiacere che non ti fa dormire. Non ti ho mai conosciuto personalmente, ma avevo imparato ad amare la tua forza di spirito, quell’irriverenza che ti contraddistingueva ogni volta che la strada s’impennava. Perché caro Marco, ho sempre pensato che i campioni veri li vedi solo sui crinali delle salite.

Ne ho sentite e lette di tutti i colori su di te. Probabilmente hai fatto grandi errori ed hai pagato per questo, ma oggi non mi importa. Non mi importa di quelle immagini di te solo e abbandonato da tutti, la mia mente riesce solo a ripescare ricordi di te che vai in bicicletta. Di quel tuo primo giro da professionista al fianco di capitan Chiappucci, quando Indurain decise saggiamente di lasciarti andare, perché in salita non ti si poteva stare dietro. Di te che ti rimetti in piedi dopo l’incidente nella Milano-Torino, di te che sbuffi e soffri per staccare Tonkov al giro del 1998. Di te che cadi e ti fai male…Di te campione titanico ed umano allo stesso tempo. Cosi forte da entusiasmare le masse ma anche così debole da generare empatia, affetto naturale di chi ama quello sport magnifico che è il ciclismo.

E chi se la dimentica quella giornata sul Galibier. Io attaccato al televisore mentre tutto il palazzo dorme. Acqua a catinelle e tu che parti, solo, a cinquanta chilometri dall’arrivo. Scatti ti guardi intorno, cerchi collaborazione, quasi un gesto retorico, perché lo sai, caro Marco, che nessuno ti può stare dietro. Voli su quella salita mentre il povero Ullrich arranca…continui ad andare come un forsennato anche in discesa e nella salita successiva, alla fine darai più di nove minuti di distacco alla ormai ex maglia gialla. Quel giorno hai fatto una cosa d’altri tempi, ci hai fatto vivere un ciclismo che non esiste più. Quello degli scatti di Ginettaccio e Fausto Coppi, quello delle mani basse sul manubrio dell’angelo delle nevi Charly Gaul.

Francamente delle vittorie di Indurain e Armstrong mi resta poco, tu solo sei riuscito a scardinare i meccanismi di corse a tappe costruite per super uomini, titanici, senza sbandamenti. Tu, con i tuoi 58 chili, con la tua irriverenza, il tuo cuore ed il tuo coraggio, con i tuoi errori e la tua sfortuna. Tu capace di rialzarti dopo ogni infortunio. Tu, campione umano troppo umano. 

Emanuele Ferragina

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Redazione

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