Dalla Curva

Il parere degli ULTRAS. Paolo non mollare

GIUSTIZIA è la “virtù per cui si rispettano i diritti altrui e si attribuisce a ciascuno ciò che gli è dovuto”

Diamo voce a tutti come sempre; e’ la volta di due Ultras del Doria. Due ragazzi che come tanti ULTRAS hanno un livello culturale medio alto, e non certo si vergognano di manifestare le proprie idee anche sugli argomenti piu’ spigolosi.
Naturalmente saremo ben lieti di mettere in Home le altrettanto rispettabili opinioni dei tutori dell’ordine su questi argomenti interessanti.
Nel massimo rispetto delle leggi e delle forze dell’ordine che da sempre sosteniamo, vi proponiamo un pezzo di qualche settimana addietro, e’ stato uno degli stessi autori a darci il permesso di metterlo su questo sito. I fatti di Verona-Brescia, non sono singoli episodi, basti ricordare anche un Verona-Catanzaro molto recente, e passato colpevolmente in secondo ordine perche’ fortunatamente nessuno ci ha rimesso gravemente.
Vi preghiamo di interpretare il pezzo non come una apologia di questo o di quello, ma solo come un insieme di idee e pensieri da rispettare, manifestati civilmente come riscopntrato dalla ferma condanna dei vandalismi. Ultras non e’ sinonimo di violenza gratuita; spesso ci dimentichiamo di questo.
RISPETTO per gli ULTRAS (come per le forze dell’Ordine e per la legge), e’ quello che si chiede sempre anche da questo sito !
Introduzione by Davide Pane

L’articolo seguente e’ di Davide Santostefano e di Michele Benzo

Alle orecchie di moltissimi disinformati purtroppo le righe che seguono suoneranno stonate. Ma l’Ultras, quello vero, con la U maiuscola, lotta proprio per un’ideale, che è anche di giustizia. Una componente sociale spesso dipinta erroneamente al pari di un’organizzazione a delinquere, quella del tifo organizzato, vive su due piani: il primo, punto di riferimento basilare, è un “credo” che anima ogni singolo tifoso a seguire la propria squadra ovunque, incitandola in ogni modo dal primo all’ultimo minuto di gara e oltre. Si tratta di un’attrazione difficilmente spiegabile; una relazione sentimentale tra tifoso, colori sociali, luogo d’appartenenza. L’altra dimensione dell’ultras è, invece, azione, sacrificio. Parliamo del tempo, delle risorse economiche, delle energie fisiche e intellettuali che si impiegano per tenere in alto i propri colori, nella convinzione che il tifo possa incidere sull’andamento della gara.

In un tale contesto si creano legami forti tra le persone che condividono la stessa passione e vengono coltivati valori puri, umani, sinceri. A volte, inspiegabilmente, questa passione viene calpestata e, di contro, la reazione ultras trae forza dai soprusi subiti e il suo canto sale in intensità e potenza, fino a diventare un grido di allarme capace di uscire dagli stadi, per farsi sentire da tutti, anche da coloro che col mondo del pallone non hanno nulla a che fare.

È un mondo senza mezze misure quello dei “tifosi con la sciarpa”, un mondo che purtroppo fa parlare di sé per tutto quello che succede quando si sente di intemperanze durante manifestazioni sportive, di autogrill devastati, di violenza gratuita, di guerriglia urbana. Questa è delinquenza, vandalismo: una piaga sociale presente nelle curve come nelle strade delle città. Al contrario i tifosi che frequentano le curve d’Italia sono capaci anche di iniziative lodevoli: giusto per citare un paio di esempi, attraverso le più classiche “collette”, i sostenitori della Roma lo scorso gennaio donarono un’ambulanza alla croce rossa, mentre l’anno prima un folto gruppo blucerchiato aveva sovvenzionato la ricostruzione di una scuola a Ranong, in Tailandia, dopo il devastante tsunami. Questo genere di cose avviene nel più assoluto silenzio: l’interesse di giornali, televisioni e media in generale si rivolge sempre e solo verso aspetti negativi, nell’intento di sottolineare episodi da cronaca nera.

Ma tra i fiumi di parole che nel panorama mediatico inondano le giornate di chi vive i nostri giorni c’è un grave buco nero. Sul quale è l’ultras questa volta a voler far luce.

Sabato 18 febbraio 2006 oltre duemila persone, ultras e non, hanno sfilato per le strade di Brescia chiedendo a gran voce che fosse fatta giustizia per i tragici fatti accaduti a Verona domenica 24 settembre 2005. Due date collegate tra loro che stampa, radio e televisioni, salvo rare eccezioni in trasmissioni locali lombarde, hanno ignorato.

Perché una manifestazione ultras? Perché gravi colpe da parte degli organi di informazione?

Ricostruiamo con ordine e facciamo un salto indietro, proprio a sabato 24 settembre 2005. È da poco terminata la gara della settima giornata del campionato cadetto tra l’Hellas Verona e il Brescia. I tifosi lombardi, giunti ormai nei pressi della stazione per far ritorno a casa, subiscono improvvise, ripetute, violente, ingiustificate e spietate cariche da parte di diversi reparti della celere. Per alcuni interminabili minuti è il panico. Indipendentemente che si tratti di donne o anziani o bambini, tutti cercano di reagire o di scappare dai manganelli impugnati al contrario, dai sassi, dai calci dei fucili, dai gas lacrimogeni sparati ad altezza uomo. Le persone già salite sui treni pronti a partire sono costrette ad uscire velocemente, a causa dei gas usati dai carabinieri. Si formano numerosi capannelli che dipingono quadri assurdi, impensabili: uomini in divisa che si accaniscono sui corpi di malcapitati senza colpa. Uno dei ragazzi pestati si chiama Paolo, è un frequentatore della curva bresciana. Malconcio, Paolo cerca di raggiungere i suoi amici, li trova e racconta loro quanto successo. Poi inizia a vomitare, a perdere i sensi. I soccorsi arrivano ben mezz’ora dopo (si scoprirà che gli agenti avrebbero richiesto dei soccorsi senza segnalare l’urgenza) e i medici dell’ambulanza assegnano al caso il massimo codice di gravità: “rosso 3”. Paolo entra in coma e vi resta per circa due mesi. Ora è alle prese con una lunga e difficoltosa rieducazione. In questo arco di tempo gli ultras bresciani rinunciano a seguire la squadra in trasferta, preferendo far visita all’ospedale dove Paolo è ricoverato, presenti guarda caso anche il giorno che l’amico riapre gli occhi. Solo chi bene conosce la mentalità ultras, che fa della assidua presenza allo stadio e dell’amicizia due valori assoluti, può capire cosa vi sia sotto questa decisione. Nel frattempo la vicenda si condisce di particolari e testimonianze agghiaccianti. Il campanello di allarme più grave però i determinati ultras lombardi lo lanciano nella lettera che nel frattempo indirizzano al ministro dell’Interno Pisanu, al questore, al prefetto e al sindaco di Brescia, al primo cittadino veronese e agli organi di informazione. La tesi sostenuta è quella della premeditazione da parte dei rappresentanti delle forze dell’ordine. Gli autori della missiva parlano senza mezze misure di un approccio, di atteggiamenti, di parole e di una gestione del proprio ruolo altamente provocatori, da parte di chi invece dovrebbe stemperare gli animi e garantire l’ordine pubblico. Facciamo un ulteriore passo indietro per sottolineare le anomalie e i punti oscuri della vicenda.

Innanzitutto i biglietti per la partita costata caro a Paolo vengono consegnati solamente due giorni prima del match al club dei tifosi bresciani (mentre il regolamento obbliga la società ospitante a fornirli 5 giorni in anticipo sulla data della gara) quando cioè le iscrizioni per la trasferta sono ormai chiuse. In più la richiesta, inattendibile visti i tempi stretti e le iscrizioni già effettuate, di “fotocopiarli uno per uno, allegandovi la copia del documento di identità di ogni possessore”. Il giorno della partita, giunti allo stadio Bentegodi di Verona, a circa una decina di sostenitori delle “rondinelle” sprovvisti di biglietto è stato impedito di acquistare un tagliando di qualsiasi altro settore, come nel diritto di chiunque. A quel punto i vari club organizzati hanno deciso di non assistere alla partita e di abbandonare i loro posti sugli spalti, per solidarietà verso i pochi esclusi. Anche in questo caso, però, la mancanza di elasticità da parte dei funzionari in divisa non è stata colta come una provocazione e gli ultras non hanno portato disordini, nonostante il conseguente e giustificato malumore.

Nell’attesa di ripartire a fine partita con i mezzi messi a disposizione dalla questura di Verona per raggiungere la stazione, il particolare che più stride con la realtà odierna negli stadi: il settore ospite, fino a poco tempo prima presidiato dagli agenti, si è presentato inspiegabilmente libero e incustodito. I cancelli aperti sembravano quasi un invito, accolto in parte e da pochi, a far si che succedesse qualcosa. Un qualcosa che meritasse poi una punizione? Un “casus belli”?

Infine l’aggressione ingiustificata, condita dall’atteggiamento di sfida, dagli insulti, “dalle provocazioni verbali ed oltraggiose –scrivono gli ultras nella lettera di denuncia- nei confronti delle nostre madri e delle nostre donne”, dalla spietatezza degli uomini in divisa.

Le testimonianze si fanno più numerose, l’accaduto raggiunge i frequentatori delle altre curve d’Italia, molti si interessano alla vicenda. Dai settori popolari domenicalmente iniziano ad alzarsi striscioni di solidarietà, messaggi di denuncia, slogan per far forza a Paolo e a tutti quelli che gravitano intorno a questo sfortunato ragazzo non ancora trentenne. Le parole che si leggono sono dure, amare, allarmate. “PER UN RAZZO INSORGE IL PALAZZO, MA PERCHE’ DI PAOLO NON SI è MAI DETTO UN CAZZO?” chiedono i riminesi. Gli fanno eco i napoletani: “TUTTO BENE IL DECRETO STA FUNZIONANDO… DI UN ULTRAS IN COMA NESSUNO STA PARLANDO!”. Stesso concetto espresso anche sugli spalti a Potenza: ”PAOLO IN COMA NELLA TOTALE INDIFFERENZA… ECCO COS’E’ IL DECRETO ANTIVIOLENZA”. Non si contano i “PAOLO NON MOLLARE”, ma soprattutto le richieste di giustizia: “NESSUNA IMPUNITA’ AI MACELLAI IN DIvISA BLU” è il grido dei tifosi sampdoriani.

Paolo diviene il simbolo dell’ultras corretto su cui si scatenano le conseguenze di una repressione che non vive solo nei discussi decreti legislativi o nelle misure di sicurezza esasperate, ma si scatena in feroci episodi come quello di Verona, in scontri frontali che hanno come unico obiettivo l’eliminazione barbara dell’ultras dal panorama calcistico-sociale italiano.

Così il 18 febbraio 2006 a Brescia viene organizzata una manifestazione, aperta a chiunque volesse partecipare, alla quale presenziano numerose tifoserie. Scrivono i tifosi rossoneri: “UNITI NELLA LOTTA AL SILENZIO E ALL’OMERTA’ DELLA REPRESSIONE”. Ed è uniti e accomunati da uguali passioni e sentimenti che, accodandosi ai bresciani, sfilano gli ultras di Cesena, Mantova, Avellino, Bergamo, Arezzo, Bari, Bologna, Viareggio, Venezia, Monopoli, Campobasso, Cava dei Tirreni, Jesi, Crema, Pandino, Milano, Vicenza, Montevarchi, Verona, Potenza, Genova, Fasano, Parma, La Spezia, Fabriano, Trieste, Reggio Calabria e, a chiudere, ancora Brescia. La pioggia battente non è d’ostacolo per le quasi duemila persone intervenute. La carovana sfila per le strade della cittadina lombarda, i cori rimbombano tra i palazzi della “leonessa” smuovendo i curiosi ad informarsi. È desolante notare come molti passanti ammettano di non essere a conoscenza dei fatti di Verona, ma come invece la loro memoria non abbia cedimenti a ricordare gli episodi che negli ultimi anni hanno marchiato l’intero movimento ultras in maniera negativa. Dice una signora dopo essere stata informata: “…no, non mi sovviene nessun ragazzo entrato in coma per una partita di calcio. Mi sto sforzando ma niente. Ricordo bene il razzo di Ascoli, le torce a Dida nel derby di Milano. Ah si, anche il motorino lanciato dagli spalti. Ma di un ragazzo finito in coma a Verona non mi ricordo proprio”. Come la signora, molti altri confermano lo stesso vuoto.

Quello che invece stupisce positivamente è l’atmosfera surreale in cui il corteo si sviluppa, riunendo sotto lo stesso pensiero, lo stesso canto, la stessa pioggia e le stesse problematiche ragazzi con al collo colori diversi, di gruppi spesso rivali, senza che mai la situazione subisse attimi di tensione. Semplicemente toccante l’atto conclusivo: il raduno in Piazza della Loggia. Qui, in un silenzio rotto solo dallo scroscio della pioggia, quattromila occhi attoniti e puntati su di uno schermo vedono scorrere le immagini amatoriali e i filmati di cellulari che ripropongono la cruda violenza della stazione di Verona. Tra i presenti riaffiora la rabbia, acuita dalle spiegazioni impacciate, goffe e soprattutto false che il questore scaligero ha provato a fornire sui fatti. Ovvero, in un primo tempo è stato sostenuto il ritrovamento di Paolo nei pressi della stazione, ferito da ipotetici incidenti con Ultras del Verona e soccorso dalla polizia. Poi il tiro è stato corretto in un altrettanto irritante: “Paolo è stato soccorso in stazione, ferito da un sasso o nella caduta violenta durante l’occupazione dei binari”. Il tutto diramato, senza il consenso dei genitori, assieme ad un ipotetico bollettino medico: “Paolo ha una sola ferita alla testa, di cinque centimetri, compatibile con un colpo inferto con un sasso e non presenta altri traumi in nessuna parte del corpo”. Basta aggiungere che il vero referto medico indica invece numerosi ematomi, conseguenza di diversi colpi subiti, per capire da dove tutti i presenti traggano la forza di ribellarsi, di provare a cambiare il corso delle cose.

La maggior parte dei ragazzi intervenuti a Brescia il 18 febbraio scorso non conosce Paolo, alcuni di loro vengono da molto lontano, ma hanno tutti in comune con lui una passione e sanno che quel letto di ospedale sarebbe potuto spettare a uno qualunque di loro.

Gli ultras non chiedono l’impunità per se stessi e non vogliono neanche negare l’esistenza delle rivalità che molto spesso fanno storcere il naso all’opinione pubblica, ma chiedono che il tifoso che commette reati sia giudicato alla stessa maniera di qualsiasi cittadino. Così come nel caso si tratti di impiegati delle forze dell’ordine. Perché dietro alla divisa o ad una sciarpa c’è sempre un uomo, che in quanto tale può sbagliare ed è giusto che ne paghi le conseguenze.

Triste e inutile tentare di insabbiare la verità, almeno fino a quando, assicurano gli amici di Paolo, “ci ribelleremo e combatteremo con l’arma più potente che possediamo: il cervello”. Ne è la riprova l’applauso che al termine della manifestazione gli ultras bresciani, a mo’ di ringraziamento e incitamento, rivolgono a tutti i tifosi accorsi, perché la vicenda di Paolo ha colpito al cuore.

(pubblicato anche dal sito Riviera 1988)

Autore

Davide Pane

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