I Calici di Torino Catanzaro

Ritorna dalle Marche dove per una settimana ha cercato invano Pescara, Nicolò Ditta e la sua rubrica sui vini, olé!

Un calice di vino ci aspetta in Piemonte. Torino, la prima capitale dell’Italia unita, l’altera, la sabauda, l’epicentro per tanti anni del capitalismo all’italiana, una città che ha sempre accolto tanti e tanti nostri conterranei emigrati in non in cerca di fortuna ma di un semplice lavoro, oggi è la capitale mondiale dello sport.
Da Cortina 1956 a Torino 2006, un fascino che si rinnova in concomitanza con la partita delle aquile.
Il mondo guarda Torino, e la città dovrà offrire il meglio di sé stessa. dovrà offrire un pranzo da Re come si conviene nelle occasioni speciali, e noi, anche se per altri motivi, possiamo ritenerci invitati.
Parliamo allora di cucina e parliamo di vini, il Piemonte ha dalla sua una delle più spettacolari tradizioni eno-gastronomiche di tutto il bel paese. Un immenso ventaglio di prodotti che hanno nel tempo, e sotto l’influenza preponderante della vicina Francia, creato una tradizione con pochi eguali.

Una prima differenza salta subito agli occhi tra la cucina Piemontese e quella Francese. La nostra ha saputo ben conservare una sua tipicità, una più radicata ricerca del gusto dei singoli alimenti nelle preparazioni. La cucina francese, di contro, è la cucina dell’opulenza, dell’elaborazione, della sontuosità, della “ricchezza” dei sapori. Non a caso c’è un abbondante uso di burro e panna in molte preparazioni.
La cucina Italiana in generale, e quella Piemontese in particolare, hanno sempre avuto il pregio di porre in prima fila l’ingrediente e il suo sapore, relegando in seconda battuta il sapore dell’intero piatto.
Il piatto è dato dalla somma dei sapori degli alimenti che lo compongono, tutti pienamente riconoscibili quando lo si mangia.
La cucina Francese mischia gli ingredienti per creare un piatto che abbia un sapore non direttamente attribuibile ai singolo ingrediente da cui è composto.
Molte delle ricette piemontesi sono di ispirazione contadina, e valorizzano la freschezza dei prodotti genuini della campagna
I piemontesi, per loro natura sobri e discreti ma amanti della buona tavola, hanno gusti semplici, genuini, che hanno consentito di conservare nel tempo una cucina sincera, gustosa e decisa nei sapori, senza influenze legate a mode passeggere che snaturano le tradizioni.

Naturalità e semplicità della cucina piemontese sono aggettivi da considerarsi in senso lato, perché in Piemonte troveremo una cucina dai sapori forti e caratteristici, primi piatti come i risotti al barolo, al tartufo, al castelmagno o con la cacciagione; per passare ai più semplici ma splendidi tajarin al tartufo bianco.
Il Piemonte ci regala secondi che hanno una grossa componente di succulenza e di grassi, piatti che prevedono lunghe preparazioni (penso alla finanziera, al brasato o allo stracotto al Barolo). Penso al gran carrello dei bolliti (di carne di manzo, vitello e maiale), che in certi ristoranti diventa un rito sacro accompagnato dal Bagnet rosso e verde e da mostarda d’uva, al Civèt di lepre e così via.
Penso ai formaggi (dalle tomine fresche di malga ai formaggi stagionati, ma soprattutto ai caprini freschi o affinati nel fieno, nella cenere, nelle bacche di ginepro o nelle foglie di castagno o nelle vinacce di nebbiolo e così via).
Penso infine ad una preparazione che, nata nella regione, è rimasta confinata all’interno dei suoi confini, la Bagna Caöda (burro, olio extravergine d’oliva, aglio, acciughe sotto sale) da servire molto calda con verdure crude; il tutto seguito dal bonèt (= berretto) formato da cioccolato e amaretti, dalle bignole, al torrone alla nocciola, al cioccolato di cui ricordiamo il delizioso gianduja.

Parlare di vini di fronte a un tale tripudio di piatti e sapori è molto difficile ma il Piemonte saprà regalarci delle realtà che non hanno eguali nel resto d’Italia. Il Piemonte è la patria dei vini rossi, e su questo non si discute.
Il Re dei vini, il vino dei Re. Sua maestà il Barolo ci attende per una splendida esperienza.
ma attorno a un tale monumento all’enologia Mondiale, nascono diverse scuole di pensiero.
un “vero” Barolo, quello tradizionale intendo, può essere bevuto non prima di venti anni dalla sua entrata in commercio.
questo a maggior ragione succedeva nei decenni scorsi, visto che le tecniche di vinificazione non erano così raffinate come lo sono oggi. Ecco che, da una ventina d’anni a questa parte alcuni produttori hanno prodotto una nuova versione del vino rendendolo molto più pronto da bere.
I terribili tannini del Barolo tradizionale che erano capaci di azzerare la saliva per una settimana, hanno lasciato il posto a un nuovo vino molto più morbido, rotondo e pronto da bere poco tempo dopo la messa in commercio. Potenza del commercio.
A fronte di questa nuova tendenza, ci sono un manipolo di strenui difensori della Purezza del Barolo. Non a caso questa tendenza a considerare in maniera tradizionale o innovativa è fortemente marcata in Piemonte e in Toscana, le due regioni che rappresentano l’Italia enologica nel mondo.
Vi invito a provare, se ne avete la possibilità, due Barolo, due Barbaresco (anche se in misura minore), due Barbera, una tradizionale e l’altra innovativa.
L’una fatta nelle grandi botti magari di Castagno, la seconda nelle Barriques di rovere.
troverete due vini completamente diversi tra loro. Su una cosa posso assicurarvi, nella prima versione avrete però una più netta e chiara percezione dei sentori tipici del vino (la rosa del Barolo ad esempio) rispetto alla seconda.

non importa quale sia il vostro preferito, l’importante è che sia fatto bene e. Alziamo il calice al Vino, a Torino, alle Olimpiadi e, perché no, al Catanzaro!

Nicolò Ditta

PS
Per informazioni critiche richieste o suggerimenti, tranne soldi o bottiglie di vino, scrivetemi pure a uctrapani@uscatanzaro.net

Autore

Tony Marchese

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