CATANZAROCK: La musica etnica mediterranea ed orientale di “Agricantus”

Saranno i siciliani Agricantus a chiudere domenica 8 agosto, la tre giorni di festa de l’Unità” a Girifalco, il popoloso Comune della provincia catanzarese.Il Comitato organizzatore, con in testa Mimmo Zaccone, ha ritenuto con questa scelta di compiere un passo importante verso la musica giovane e con uno sforzo economico notevole ha fortemente voluto degli artisti di valore internazionale che conferiranno alla festa un maggiore livello di qualità e attenzione del pubblico e dei media. Con la collaborazione artistica dell’Associazione Culturale Catanzarock, da più di un decennio impegnata nella promozione di eventi e festival a tutti i livelli, arriva dunque in Calabria una band dal curriculum impressionante: unendo una ricerca sulla musica etnica mediterranea e orientale con una tecnologia elettronica raffinata e atmosfere “ambient”, gli Agricantus infatti,si sono imposti alla ribalta della scena internazionale della world music
I siciliani Agricantus (dal latino, “canto del grano”) sono la più importante formazione italiana di world music. Il loro repertorio attinge ai suoni del deserto e delle periferie del mondo, ma anche ai ritmi ossessivi del rock e alle musiche tradizionali del Mediterraneo, dalla “taranta” dell’Italia del Sud, al folk mediorientale e nordafricano. Una miscela sonora resa ancor più suggestiva da un set che combina strumenti etnici a corda e a fiato accanto alla più sofisticata tecnologia elettronica.
Gli Agricantus si formano a Palermo nel 1979 e si dedicano nei primi anni di vita alla riscoperta delle culture sud-americane e della fascia andina, con particolare attenzione alla Nueva Cancion Chilena da cui il gruppo erediterà l’approccio alla cultura popolare. Questa esperienza infatti induce i componenti ad occuparsi, qualche anno dopo, delle tradizioni etniche dell’Italia meridionale, riproposte, scomposte e reinventate, utilizzando tecniche esecutive e strumenti arcaici in ambientazioni moderne (soprattutto trance e ambient-music). Nascon così lavori sperimentali come Nachitabumma (1989), Agàve: Maavro (1989), Gnanzù! (1993) e Viaggiari (1995).
Il gruppo s’impone soprattutto a partire dai primi anni Novanta, con l’arrivo della cantante svizzera Rosie Wiederkerhr, dando vita a un ensemble che comprende anche Tony Acquaviva (voci maschili, percussioni, strumenti tradizionali, tastiere, campionatori), Giuseppe Panzeca (mandolino, sitar, voce), Mario Crispi (strumenti a fiato etnici e tradizionali) e Mario Rivera (basso, voce, programmazione). Questa formazione dà vita all’ambizioso Tuareg, registrato nel deserto del Mali con strumenti e musicisti nomadi (parte dei proventi del disco serviranno a finanziare innovativi programmi di scolarizzazione “nomade”). L’album, raffinato cocktail di sonorità trasversali ed esotiche, si aggiudica il Premio Tenco e raggiunge il 6° posto della classifica di World Music Charts Europe. A contribuire alla magia degli Agricantus è l’incantevole canto di Rosie Wiederkehr, che trasmette alle melodie la sensualità ipnotica della passione, con vocalizzi straordinari, rubati alle donne berbere e a una tradizione musicale antichissima.

Sull’onda del successo, gli Agricantus vincono anche il premio Nomadi per il tributo ad Augusto Daolio e il Premio Italiano della Musica come miglior gruppo, categoria Frontiera. A seguire la band pubblica il mini-cd Hale-Bopp Souvenir (1997), con la partecipazione di Fadimata Wallet Oumar, portavoce della più autentica cultura Tuareg, e Kaleidos (1998), suggestivo esperimento di contaminazione con la musica classica, in cui gli Agricantus si accostano a grandi compositori, come Grieg, Paganini, Brahms, Albinoni, Bartok e Berio.
Nel 1999 viene realizzato Best of Agricantus, in licenza con l’etichetta World Class, che lo distribuisce oltre che negli Usa, anche in Canada, America del Sud, Australia e Giappone. In poche settimane il disco raggiunge la vetta delle classifiche radiofoniche americane e australiane. Merito di brani trascinanti e raffinati, da “Com’u ventu” (contenuto in origine anche nella compilation “Canti sudati”, edita da Il Manifesto) a “Carizzi d’amuri”, da “Hala hala” a “Amatevi”, da “Occhi chi nascinu” alla splendida e conclusiva “Loosin”.

Sempre nel 1999 esce Faiddi, una raccolta dei loro brani migliori riarrangiati e reinterpretati dal vivo, che diventa anche la colonna sonora della mostra fotografica “On Their side” organizzata dall’Unicef, in occasione del decimo anniversario dell’approvazione, da parte dell’Onu, della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Intensa anche l’attività per il cinema che frutta colonne sonore di successo, da quella eccellente per Il Bagno Turco di Ferzan Ozpetek (insieme a Pivio e Aldo de Scalzi dei Trascendental), fino a I Giardini dell’Eden e Placido Rizzotto. Nel febbraio 2001, è la volta di Ethnosphere, ovvero due dischi distinti per due diverse visioni della vita, la spiritualità e la fisicità terrena, raccontate attraverso un viaggio, che stavolta è nelle eteree atmosfere del Tibet buddista. I sedici brani del disco, realizzati in un anno di lavoro, sono ispirati da alcuni testi composti da Tonj Acquaviva e Rosie Wiederkehr nell’ambito del progetto multimediale “Welt Labyrinth”, promosso a sostegno della battaglia per l’indipendenza del Tibet. Il primo dei due cd è composto da una serie di brani cantati in siciliano, tedesco, inglese, latino oltre a mantra tibetani imperniati in modo particolare sulla mistica e su temi spirituali. Più vicino alla consuete sonorità degli Agricantus il secondo cd, dove compaiono anche testi in spagnolo, francese, oltre al magrebino di “Mellit” dove l’ospite di turno è il cantante Nour Eddine.

Un’opera a 360 gradi, insomma, che arricchisce ulteriormente il repertorio degli Agricantus, integrato dal vivo anche con originali cover di Franco Battiato, Patti Smith, Sinéad O’Connor. “La nostra musica è in costante evoluzione – raccontano – ma la matrice rimane ancora nella musica etnica in senso stretto, in quella dimensione ‘trance’ che abbiamo trovato nelle culture nomadi e in elementi provenienti dal nostro meridione”.
E la Calabria, meridione d’Italia, saprà accoglierli degnamente. (CNN 03.08.2004)

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Redazione

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