Rassegna stampa

Il mio romanzo col Catanzaro

IL PERSONAGGIO / Il tecnico è stato protagonista in giallorosso anche come calciatore
Braglia: «Questa promozione vale quanto la vittoria a San Siro sul Milan nel 1982»
Ha disputato 117 partite in serie A.
«Indimenticabile il gol di Bivi davanti a 20 mila calabresi» «Non potevo immaginare di bruciare i tempi. Ma per conquistare la serie A c’è ancora tempo»

CATANZARO La storia di Piero Braglia col Catanzaro sembra un film scritto da un regista che ama gli intrecci del destino con il caso, ai limiti del paradosso e della credibilità. Un tipo alla Almodovar, per intenderci. Perché il tecnico arrivò calciatore giallorosso che era un ragazzo di 24 anni. Ed era decisamente un altro Catanzaro: da serie A. Con tanti bravi giocatori e un gran pubblico, e non solo in casa. Prima di venir via dalla Calabria per andare a Trieste e poi scendere ancora un po’ più a Sud, nel Catania di Angelo Massimino, Pierino la peste riuscì a mettere assieme 6 campionati totalizzando più presenze in serie A di qualsiesi altro calciatore transitato in giallorosso.
Centodiciassette partite nel massimo campionato, non sono una bazzecola, anche se il diretto interessato dice di non ricordarsene. Sei anni molto belli e importanti ma conclusi con una doppia retrocessione: nel giro di un anno o poco più il Catanzaro si ritrovò dalla A alla C1 (ma Braglia andò via subito dopo la caduta dalla B).
Insomma, secondo il regista, non poteva esserci un personaggio migliore a cui affidare il ruolo dell’allenatore che vive una doppia promozione sotto quella stessa bandiera. Anche se stavolta i due salti in avanti sono stati compiuti in un’unica stagione.
Quando Braglia arrivò la società infatti sapeva di dover giocare in C2 pe sche non era stata ancora ripescata: « Venivo dal campionato di Chieti, sempre in C2, ed ero stato bene. Sono andato via per una telefonata non fatta.
Invece di chiamare direttamente il presidente per comunicargli che avevo ricevuto una proposta dal Catanzaro, lo dissi al direttore sportivo, Tambone, ma il presidente Buccilli col quale avevo un ottimo rapporto si sentì scavalcato e quando provai a telefonargli non volle più parlarmi. In seguito comunque ci siamo chiariti. A Catanzaro mi era stata chiesta la promozione in C1. Dopo il ripescaggio pensammo di programmare un campionato di tranquillità. Non potevo neanche immaginare che avremmo bruciato i tempi. Per me questa promozione è come aver saldato almeno in parte i miei conti con la città e la tifoseria».
E a proposito di passato, a Braglia delle sue 117 partite in giallorosso quella che è rimasta più impressa è una vittoria nella Scala del calcio: «Per me quel successo vale quanto questa promozione in serie B. Era il 1982, mancavano poche giornate al termine e andammo a San Siro per giocarci la salvezza.
Anche i rossoneri erano impelagati nei bassifondi della classifica. Bene, vincemmo 1 a 0 con gol di Bivi davanti a 80 mila spettatori, di cui almeno ventimila calabresi che tifavano per noi. Una sensazione indimenticabile. Dopo quella sconfitta il Milan non riuscì a riprendersi e finì in serie B».
A quell’epoca il Catanzaro era molto seguito anche in trasferta, soprattutto al nord: «C’erano gli emigrati trapiantati al settentrione che si non perdevano quasi una partita. E ci seguivano sempre numerosissimi. Per non parlare del ‘Ceravolo’ sempre stracolmo: uno spettacolo. Ecco pesche vedere gli occhi lucidi dei tifosi più anziani in occasione di questa promozione ha commosso anche me».
Fine dell’amarcord. Pierino la peste non è uno facile ai languidi ricordi, anzi: «Mi ritengo un pragmatico, uno a cui non piace vivere di passato, che preferisce guardare in faccia il presente». Questa è la sua terza promozione: «La prima nel campionato nazionale dilettanti con la Colligiana, Collevaldenza in provincia di Siena, al secondo anno che allenavo; poi col Montevarchi dalla C2 alla C1 e questa di Catanzaro». Che in effetti ne vale due.
E se il detto più comune dice non c’è due senza tre, Braglia conosce un modo di dire delle sue parti: «In Toscana aggiungono ‘e il 4 vien da se’. Ma per la serie A c’è tempo. La società del resto è fatta di persone intelligenti e faranno un programma di 3 o 4 anni per l’ultimo salto. Poi, se saremo bravi ad individuare gli elementi giusti, potremmo anche accorciare i tempi. Chissà».

Francesco Caruso

Autore

God

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