Rassegna stampa

Catanzaro e il Catanzaro il filo dell’appartenenza

da Il Quotidiano

di Filippo Veltri

Ci può essere un’identificazione tra una città e la squadra di calcio? Si può, è esistito nel passato ed esiste anche oggi a proposito del Catanzaro, neopromosso in B dopo che dieci mesi fa era in C2. Ma non nel senso – ovvio e scontato – che oggi, nel momento del tripudio grande, la città si identifica con la squadra. Questo sarebbe, appunto, ovvio e non segnalerebbe alcun fatto eclatante. Il fatto eclatante è che quel raccordo c’era un anno fa, due anni fa e giù indietro nel tempo, quando la squadra di calcio era in C2, con campionati anonimi, delusioni enormi seguite da propositi di riscatto e poi altre delusioni e così via.
A Catanzaro c’era sempre gente allo stadio e chi non ci andava ha sempre seguito con affetto, partecipazione, senso di vicinanza, chiedeva, parlava con gli amici. In una parola un senso antico e nuovo di appartenenza e di identificazione totale tra squadra e città, come raramente mi è capitato di vedere.
Sbagliano coloro i quali oggi si meravigliano dei 10 mila ad Ascoli o dei 20 mila in piazza domenica sera a Catanzaro. Era tutto scontato, tutto scritto, tutto atteso e solo chi non riesce a fare distinzioni in questo complesso mondo del pallone può fingere di sorprendersi e, soprattutto, solo chi ha seguito con distrazione le cose di Catanzaro può dire che, tutto sommato, è un copione già visto, in Calabria o nel resto d”Italia. E’ un film già visto quello di ieri ma non quello degli anni scorsi e qui ci sarebbe materia di riflessione al di la’ del calcio, per cercare di capire ­ antropologicamente si potrebbe dire – come una comunità cerchi i propri appigli, il proprio orgoglio, il proprio sentire, la propria unità, il sentire forte: E Catanzaro lo ha trovato con il Catanzaro. E’ troppo? E’ poco? Non so giudicare, so solo che così è. Era così quando la squadra era in serie A, un grande traguardo di immagine e di spolvero ma era così anche tre anni o quattro anni fa o anche l’anno scorso, con una nuova generazione di tifosi che non era nemmeno nata quando giocavano Palanca o Braglia, non ha conosciuto i fasti della A ed ha frequentato le curve (in casa e fuori) solo a partire dall’inferno della C2, quando tutto era più difficile. O anche chi allo stadio non ha messo piu’ piede, il ventre vero della città, fatto di persone normali, di uomini e donne che lavorano negli uffici, fanno la spesa, vanno al cinema, guardano la tivù, etc etc ma che non hanno mai smesso di informarsi, di chiedere, poi di ripartecipare in un crescendo che ha visto il top nelle ultime settimane. Un senso di unità, dicevo, di appartenenza e di orgoglio che non deve essere semplicisticamente letto o liquidato con un’alzata di spalle o piattamente uniformato a quanto avviene altrove o, peggio, bollato come fatto folcloristico.Qui ci sta, in verità, il cuore di una comunità, l’ anima, il vissuto, l’ interagire, il senso di una comunità. Materiale su cui, ovviamente riflettere ed approfondire. Ma qui, per finire, ci sta il ruolo di Sergio Abramo, che è il sindaco di questa città, che può essere simpatico o antipatico, può essere amato od osteggiato, può far bene o può far male nella sua azione politica ed amministrativa, può e deve essere giudicato per questo, ma una dote vera a mio avviso ce l’ha e l’ha dimostrata per ultimo in questa occasione: è un uomo in sintonia con quel sentire profondo e lungo dei suoi cittadini, non mette in mostra il suo orgoglio di catanzarese solo a sprazzi o per comodità di tempistica politica. Lo fa perché lo sente, perché e’ uno di loro. E’ troppo? E’ poco? Non so ma, forse non a caso, soprattutto per questo è il sindaco di Catanzaro.

Autore

God

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