Intervistiamo

Era catanzarese il maresciallo ucciso a Marsala

Scritto da Redazione
Silvio Mirarchi potrebbe essere stato scambiato per qualcuno che voleva rubare piante di marijuana a Marsala. Il cordoglio di Sergio Abramo
 

E’ morto senza nemmeno riuscire a vedere in faccia i suoi assassini. Ucciso alle spalle, con una raffica di pallottole, durante un normale servizio di controllo.

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Così se n’è andato Silvio Mirarchi, 53 enne, che di professione faceva il carabiniere. E’ stato ammazzato a Marsala da una banda di malviventi, forse legati al traffico di droga, che hanno sparato ripetutamente alle sue spalle: a nulla è valso l’aiuto del collega che ha trascinato Mirarchi sull’auto fino a portarlo in ospedale dove è stato operato a un rene.

i due militari stavano svolgendo un controllo tra le contrade di Ciavolo e Ventrischi. A causa di qualcosa di sospetto entrambi sarebbero scesi dall’auto quando all’improvviso è partito la raffica di colpi di grosso calibro. Mirarchi è stato colpito all’altezza del rene. Lì vicino, a pochi metri dalla zona dell’agguato, è stata scoperta una serra utilizzata per la coltivazione di marijuana: c’erano 6mila piante.

Silvio Mirarchi, 53 anni, originario di Catanzaro, era il vicecomandante della stazione dei carabinieri di contrada Ciavola a Marsala.

Per il sindaco Sergio Abramo si tratta di «una notizia terribile, un dolore che colpisce tutta la nostra comunità. Sono letteralmente sgomento per la vigliacca uccisione del maresciallo Silvio Mirarchi, il nostro concittadino caduto nell’adempimento del proprio dovere durante un’operazione antidroga nelle campagne di Marsala. Un assassinio brutale, assurdo, a tradimento che non può restare impunito. In questo momento drammatico, il mio pensiero va innanzitutto alla famiglia, a cui il destino ha arrecato il più insopportabile dei dolori, ma anche alla sua seconda famiglia, l’Arma dei Carabinieri, che continua a versare un grave contributo di sangue alla lotta contro la criminalità. Anche se il maresciallo Mirarchi era da tanti anni trapiantato in Sicilia, le sue radici erano qui, nella nostra città, dove risiedono anche i suoi congiunti. A loro ci stringiamo, dicendo che il loro dolore è il nostro dolore».

 

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Redazione

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