Intervistiamo

Delegazione di Radicali in visita al carcere di Catanzaro

Scritto da Redazione
Nell’ambito dell’iniziativa “Spes contra spem”, che in Calabria ha visto alcuni militanti radicali impegnati nella visita di tutte le carceri del territorio calabrese

“Spes contra spem”: speranza, contro ogni speranza. Sperare e lottare anche quando le condizioni sembrano disperate. Nell’ambito dell’iniziativa “Spes contra spem”, che in Calabria ha visto alcuni militanti radicali impegnati nella visita di tutte le carceri del territorio calabrese, nella giornata di ieri abbiamo visitato, come delegazione di radicali (presenti Giuseppe Candido, Antonio Giglio – Consigliere comunale di Catanzaro, iscritto da anni al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito – Emilio Quintieri, Rocco Ruffa) la Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro,accompagnati dal personale della polizia penitenziaria, e dalla direttrice del carcere dott.ssa Angela Paravati. Verificate, come sempre, le condizioni della struttura, e ascoltati i detenuti.

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Confermato, rispetto all’ultima visita (effettuata l’1 gennaio scorso) il dato positivo sul sovraffollamento. Rispetto alle condizioni rilevate durante la visita effettuata a fine marzo 2014, quando ancora le presenze (484) erano maggiori della capienza regolamentare dichiarata di 617 che, in realtà, era di 329 perché erano ancora indisponibili i 288 posti del padiglione nuovo, al momento la situazione è decisamente migliorata. Nella struttura, ieri, durante la visita, erano presenti 570 detenuti (di cui 320 comuni e 250 di alta sicurezza, 0 in regime di 41-bis), tutti uomini; un numero inferiore rispetto alla capienza regolamentare dichiarata di 627 posti; ma a questi, vanno sottratti 72 posti dell’ultimo piano del nuovo padiglione perché ancora inutilizzati. Praticamente la struttura è al completo. 136 sono i detenuti stranieri; 8 i tossicodipendenti in terapia con metadone.

Ci sono diverse sale attrezzate come palestra, un campo sportivo, il teatro e c’è un laboratorio dentistico contre odontoiatri che vi lavorano a turno; per quanto riguarda le cure mediche alcuni detenuti lamentano tempi di attesa lunghi.

Negativo il dato sulla quasi completa impossibilità di lavorare: solo 145 di loro possono farlo e lavorano alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria. Per tutti gli altri ci sono solo socialità, passeggio, e alcuni lavoretti interni al carcere, che li tengono “impegnati” per sei ore al giorno.

Il resto del tempo i detenuti lo passano nelle celle che, ad eccezione di quelle del nuovo padiglione, sono umide, e hanno il water nello stesso angusto loculo dove c’è pure la cucina e il lavabo. Problemi di umidità anche nelle docce, che nei vecchi padiglioni sono tutte in comune.

Nell’area sanitaria sono presenti, nei vari turni di lavoro, 10 medici che garantiscono un servizio h24, con la possibilità di fare viste specialistiche con la presenza settimanale del cardiologo, dermatologo, diabetologo, infettivologo, neurologo, ortopedico, urologo, otorinolaringoiatra ed è presente il defibrillatore.

Su una pianta organica di 401 agenti di polizia penitenziaria, effettivi in servizio ce ne sono appena 293, di cui48 impegnati nel nucleo traduzioni. E su 547 detenuti sono 7 gli educatori che lavorano nella struttura. Detenuti in attesa di giudizio: 107, di cui 66 appellanti, 45 ricorrenti, 38 in posizione mista. Zero suicidi nel 2015. Frequenti, anche se diminuiti rispetto al recente passato, gli atti di autolesionismo, 14 nel 2015; 12 i detenuti che usufruiscono di permesso premio.

Siamo rimasti stupiti – si legge ancora – dallo smantellamento, avvenuto nel totale silenzio da parte del DAP, del Reparto Alta Sicurezza AS2, in cui, da anni, erano ospitati detenuti per motivi politici (Brigate Rosse, Anarchici).

Nel mese di dicembre, gli 8 detenuti sono stati tradotti dalla Polizia Penitenziaria in altra Casa circondariale, fuori Regione.

Negativo il fatto che non ci siano più progetti per fare lavorare i detenuti all’esterno: si ritorna, quindi, alla vecchia concezione del carcere, dove i progetti di reinserimento e di recupero – fondati su idee di civiltà, giuridica e non – sono prossimi allo zero a causa del disinteresse della maggior parte della Politica e delle amministrazioni.

Il carcere viene visto come un ghetto, – concludono i Radicali – una struttura da isolare e dimenticare; l’argomento “carcere” e “detenuti” è malvisto anche dalla gran parte dell’opinione pubblica, che preferisce affrontare il tema parlando alla pancia dei cittadini.”

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Redazione

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