Scalzo: potevo vincere, il Pd mi ha fatto fuori

L’ex candidato a sindaco di Catanzaro rompe il silenzio e racconta la sua verità: «Dissi a Lotti che le liste per il Parlamento sapevano di muffa. Mi rispose che alla rottamazione ci avrebbero pensato loro»
 
Salvatore Scalzo
 

Tra amarezza e disincanto, Salvatore Scalzo torna sul suo recente passato da enfant prodige della politica calabrese. L’ex candidato a sindaco di Catanzaro sostenuto dal Pd, dalle colonne del Fatto Quotidiano, ripercorre il suo arrivo alla guida di un manipolo di giovani entusiasti, mandati al macello contro la gioia armata del centrodestra di Michele Traversa nel 2011, da cui però nasce un movimento che spaventa lo stesso Pd: «Ho appena 27 anni – spiega nell’intervista rilasciata ad Antonello Caporale -, ho appena vinto una selezione a Bruxelles e il Pd mi chiede se voglio battermi contro il centrodestra».

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Una scelta più di necessità e di facciata, con cui un Pd ai minimi storici che vivacchia in un commissariamento asfittico, tenta la carta del tutto per tutto, anzi del “perso per perso…”.
Ma da quel “Sì!” pronunciato a viva voce da Scalzo a pochi giorni dalla chiusura della presentazione delle candidature, diventa l’inizio di un’avventura che – in altri contesti, in altri momenti, in un’altra città – avrebbe avuto miglior fortuna, magari anche un respiro nazionale.  

Sulla sua candidatura, avevano attaccato il cappello tutti quanti: da Enzo Ciconte a Doris Lo Moro.
La sfida contro Michele Traversa va come deve andare: «Portiamo il Pd al 17% – spiega Scalzo -, mentre io raggiungo il 33% dei consensi. Con 16 punti di distacco dalle liste che mi sostengono, sono il candidato che in Italia ottiene il maggior consenso nel voto disgiunto».
Un patrimonio di circa 10mila voti personali che in qualunque altro partito sarebbe stato protetto, conservato, coccolato. Ma non nel Pd calabrese: a Catanzaro si torna al voto dopo appena un anno, Michele Traversa, già parlamentare e sindaco, sceglie Roma. In un mondo normale, non ci sarebbe neanche da discutere sul candidato.

A Catanzaro, invece, «si inno vivi i bacioni delle clientele e mi spiegano che c’è bisogno delle primarie. Sono le persone che hanno ridotto il Pd a brandelli e spiegano a me, a noi, che dobbiamo, ora che è passato il vento della necessità (ora che si può vincere, ndr), confrontarci magari a colpi di tessere e voti di scambio. Perdo due mesi in triccheballacche, discussioni inutili, speciose, di pura ipocrisia. Alla fine vinciamo noi e costruiamo l’alternativa al centrodestra».
Caso chiuso e tutti d’accordo sul candidato? Neanche per sogno.

Dall’altra parte, il centrodestra ripesca quello che sembra essere l’unico candidato spendibile, quel Sergio Abramo che è già stato sindaco per due mandati prima di essere sonoramente bocciato alla sfida regionale contro Agazio Loiero. Un candidato abbordabile, soprattutto per l’entusiasmo che Scalzo è capace di generare nei suoi sostenitori. Ma alla conta dei voti, Abramo supera il 50% di appena 129 preferenze. L’analisi dei numeri è impietosa: nel Pd c’è chi ha remato contro l’elezione di Scalzo, c’è chi, nonostante avrebbe potuto farlo, non ha portato neanche un voto e magari ne ha speso qualcuno per Abramo.
La vendetta è servita e a nulla vale il ricorso al Tar: «Le nostre forze, la nostra vigilanza, non era tale da documentare tutte le irregolarità», così si vota solo in 8 sezioni su 90. Impossibile sovvertire l’esito delle elezioni di maggio.
Nello stesso periodo, ci si avvia alle primarie del Pd per la scelta dei parlamentari che andranno a sostenere l’elezioni di Bersani al governo, la campagna elettorale in cui si cercava di “smacchiare il giaguaro”.

Alfredo D’Attorre è commissario del Pd calabrese, scelto da Pierluigi Bersani. Fiutata l’occasione, «vedo che in Calabria tutto ritorna ai soliti noti – dice Scalzo -, ai soliti nomi”. Intanto Renzi diventa il nuovo segretario nazionale del Pd. Quello stesso Renzi che già nel 2011 era sceso in Calabria per conoscere e sostenere Salvatore Scalzo, così come l’anno dopo aveva fatto Bersani. Scalzo, che nella scelta delle primarie del partito del 2012 aveva deciso di sostenere Bersani e non il rottamatore Renzi, chiama il braccio destro di quest’ultimo, Luca Lotti, per protestare: «Guarda che le candidature per le politiche sanno di muffa!».

Ma la risposta, secondo la ricostruzione che Scalzo fa, non lascia spazio di manovra: «Lui mi fa capire di farmi gli affari miei, ché alla rottamazione di pensano loro». Dopo mesi tribolati, Scalzo lascia il suo scranno nel consiglio comunale di Catanzaro. Torna a Bruxelles, da quella che qualche mese dopo diventerà sua moglie. Torna in Commissione europea ad occuparsi delle politiche sanitarie comunitarie.

Si costruisce una famiglia, la politica è un ricordo. Dolceamaro.

Alessandro Tarantino – corcal

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