Intervistiamo

Sindrome precaria: la generazione sotto i 1000 euro

Scritto da Redazione
La cosiddetta “sindrome del precario” colpisce oggi milioni di italiani, maschi e femmine. I sintomi? Stress, ansia insoddisfazione, notti in bianco, attacchi di panico. Ecco come convivere con l’instabilità del lavoro, tra soldi che non arrivano, contratti a progetto, pochissime certezze
Sindrome precaria: la generazione sotto i 1000 euro

C’è Martina, 32 anni, romana, una Laurea in Storia contemporanea, 110 e lode, e un curriculum che conta solo una sequela di stage di pochi mesi ciascuno, tra agenzie di comunicazione e uffici vari, ricoprendo le mansioni più disparate. Dettaglio non da poco: tutte queste esperienze non prevedono mai uno stipendio, al massimo un risarcimento spese, tra i 300 e i 400 euro al mese.

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“Dovrei dire di no all’ennesima proposta di stage che mi capita, ma la verità è che per quanto cerchi non trovo nient’altro. È una catena di frustrazione e instabilità, perché immancabilmente il periodo di stage termina e non viene rinnovato. E si riparte…”. Simona, 29 anni, architetto paesaggista milanese è a casa da oltre un anno: “non trovo niente. Solo qualche progetto sporadico.

E le volte in cui ho detto sì, non ho mai ricevuto pagamento prima di sei, sette mesi. Sono gli stessi clienti a non pagare, ma è insostenibile. Oggi faccio ripetizioni di matematica ai ragazzini del liceo, ma sono costretta a vivere ancora con i miei: non riuscirei a permettermi un affitto a Milano solo con i soldi delle lezioni”. Vengono chiamati “Generazione mille euro”, ma la triste verità è che molti ai mille euro di fine mese nemmeno ci arrivano. Le storie dei trentenni di oggi sono tutte all’insegna della precarietà: difficile, se non si ha una famiglia facoltosa alle spalle, fare progetti, pensare a una famiglia, a una casa, a un futuro.

E i risultati sulla psiche non si fanno attendere: si calcola che la cosiddetta “sindrome del precario” colpisca oggi milioni di italiani, maschi e femmine. I sintomi? Stress, ansia insoddisfazione, notti in bianco, attacchi di panico. Nei casi peggiori depressione e senso di fallimento. L’anno scorso Laterza ha dedicato un libro all’argomento, dal titolo esemplificativo: “Vite rinviate. Lo scandalo del lavoro precario”. L’autore, Luciano Gallino, parla dei costi personali, lavorativi e sociali del precariato. Di quella sensazione, rinnovata ogni giorno, che la propria esistenza dipenda da altri.

Come ci conferma la psicologa Serenella Ricci, “l‘esperienza clinica recente ci pone a contatto con i danni che l’individuo coinvolto nelle dinamiche del precariato subisce nell’immagine di sé, caratterizzata dall’impossibilità di costruire una propria posizione autonoma nel mondo.

Mi spiego meglio: l’incertezza sul proprio futuro, l’assenza di tutele riguardanti la malattia, la maternità e gli infortuni, la retribuzione spesso scarsa, la difficoltà di reggere continui cambiamenti di lavoro sono tutti elementi che vanno a minare il nostro equilibrio psicologico. La precarietà lavorativa, quando non è frutto di una libera scelta, comporta un costo piuttosto alto da pagare sul piano personale: paura del futuro, angoscia, rabbia, mancanza di autostima, indebolimento del senso di autoefficacia sono sensazioni molto comuni fra i lavoratori senza posto fisso”.
In una situazione tanto diffusa – che per il momento non accenna segni di miglioramento – esistono precauzioni pratiche e psicologiche da prendere per vivere meglio? “Fondamentale è coltivare la capacità di reinventarsi, di ripensare a sé stessi e alle proprie capacità secondo schemi e punti di vista differenti: è vero che il cambiamento da una parte destabilizza, ma può anche creare una potente spinta motivazionale e creativa, in grado di farci scorgere nuove strade e nuovi obiettivi”, sottolinea la nostra esperta.
Racconta Tommaso, 36 anni, insegnante di biologia a Milano: “in questi ultimi anni ho cambiato decine di classi e altrettanti licei e istituti tecnici. Certo, soffro il non sapere mai, se non all’ultimo, con chi lavorerò e che orari avrò, ma ho avuto modo di confrontarmi con moltissime tipologie di alunni e colleghi. E questo mi ha insegnato a essere flessibile e recettivo”.

Non è affatto facile, ma “perché non provare a sfruttare la situazione e cercare dei percorsi professionali alternativi che tengano conto dei propri interessi e delle proprie attitudini?”, suggerisce la psicologa Serenella Ricci. “Fare tante esperienze diversificate, per quanto economicamente frustrante, sicuramente amplierà il nostro bagaglio di contatti e conoscenze e ci permetterà di avere una panoramica molto più ampia sul mondo del lavoro.

Ci fornirà inoltre un grande senso di adattamento, risorsa questa che ci sarà di grande aiuto e che viene enormemente apprezzata nel mondo del lavoro”. 
Detto ciò, resta il problema principale: l’impossibilità di fare progetti e il senso di ristrettezza economica. “Inutile girarci attorno: i lavoratori precari sono spesso molto meno pagati rispetto ai loro colleghi con un regolare contratto di assunzione”, sottolinea la Dottoressa Ricci. “In moltissimi casi, infatti, sono costretti ad accontentarsi di retribuzioni basse e senza una cadenza mensile periodica: i compensi arrivano spesso dopo tre, quattro mesi e il senso di disordine e ansia sono una costante.

Questa condizione di incertezza rende difficile pensare a un futuro: sposarsi, comprarsi una casa, mettere al mondo un figlio diventano spesso sogni da rimandare a tempo indeterminato. Questo può generare in alcune situazioni una modalità depressiva, spesso grave. Fondamentale, in questi casi, è riuscire a comprendere che la situazione non ha a nulla a che fare con le proprie capacità o abilità, ma è frutto di una situazione sociale ed economica molto più vasta e generalizzata”.
Reagire è importante. Bastano piccole attività che distraggano, in maniera positiva: “se stiamo vivendo una situazione di difficoltà sul lavoro e non ne riceviamo che frustrazione e pensieri, iniziamo a cercare motivazione e gratificazione in altri ambiti: coltiviamo una relazione, un hobby, uno sport, facciamo volontariato, muoviamoci. Senza farci schiacciare”.

d.repubblica.it/- Marzia Nicolini

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