DEMASIADO CORAZON!

Nicola Fiorita racconta una notte catanzarese

La mia città mi scorre accanto. Mi entra dentro. E io le faccio spazio.
La mia macchina mi porta lentamente verso casa. E’ notte, notte fonda ormai. Era già notte quando mi sono lasciato alle spalle la stazione di Lido e ho cominciato a salire verso quelle luci arroccate che mi indicavano la strada. Che mi indicano la strada da quando sono nato.
E’ una notte senza sonno ma piena di tenerezza e di curiosità. Piena di desideri. Me la voglio girare tutta questa città. In ogni angolo, in ogni vicolo, in ogni nascondiglio. Osservo le case che mi scorrono accanto e mi immagino le vite che si consumano dentro. Sento i sogni di chi già dorme e vede giocare il Catanzaro in serie A. Nel palazzo alla mia destra un uomo di mezza età riempie il Ceravolo di bandiere e di rumori, osserva i giocatori sbucare dal sottopassaggio, 11 maglie rosse fiammanti e 11 maglie rossonere, il sole tiepido è quello di venti anni fa e anche gli olè del pubblico sono gli stessi. Mi sono fermato in mezzo alla strada, con le quattro frecce e il motore ancora acceso, giusto il tempo di osservare l’improbabile triangolazione tra Borghi e Toledo, il lungo lancio di Alfieri per Bivi e poi ho cambiato cassetta. La colonna sonora di questa notte ha la voce di un tango che dice Vuelvo al sur, come siempre se vuelve al amor. Me la gusto mentre il Calvados continua a riempirmi di calore e di incanto. Di passione e di ricordi.
La mia città è deserta a quest’ora. Le strade vuote e silenziose mi rimandano le immagini che non posso vedere. Catanzaro Sala, una luce accesa, tre amici che giocano a carte e raccontano. Ti ricordi la semifinale? Il palo di Sabato, che sfiga. E quella volta della Coppa Italia c’eri? Quella volta del 5-0 alla Lazio. Era la fine di agosto, credo.
Un altro palazzo, un’altra storia. Un bambino che non dorme ancora. Si agita tra le coperte e pensa alla partita di domani, costruisce azioni vorticose e si interroga sulle possibili formazioni. Giorgio Corona, Giorgio Corona, un nome che gli sbatte nella testa ogni notte da due mesi. Accanto al letto una bandiera giallorossa con un’aquila stampata in mezzo, sul suo volto un sorriso tenue, papà ha già comprato il biglietto.
C’è solo il Catanzaro a quest’ora della notte. Nella testa della gente, nei sogni di chi non è mai cresciuto, nella speranze dei bambini, questa città e questa squadra sono la stessa cosa. E non da stanotte. Bellavista significa luce, e mare lontanissimo sulla sinistra, e un locale dove un ragazzo sorseggia una birra e accarezza una donna. Dai vieni con me, ti passo a prendere con il motorino e saliamo allo stadio, curva Massimo Capraro: una bolgia, ti piacerà.
Teatro Politeama e poi vicoli strettissimi. Una foto di Palanca che sorride da un negozio, nessun’altra macchina a rallentare il mio vagare solitario. E’ una sensazione magica, questi vicoli sono un abbraccio che rimette al mondo. Li conosco a memoria. Sono sempre stato qui, anche quando non c’ero. Un uomo al telefono parla con un amico che vive lontano, domani ti aggiorno io, non ti preoccupare, poi ci vediamo domenica prossima, tu vieni a Sora vero? Io salgo ancora, salgo su, verso lo stadio. Vado ad accarezzare l’anima di questa città. Mi arrampico per la salita dei pompieri e li vedo tutti, tutti in una volta, sono migliaia e migliaia di uomini che sono passati da qui, domenica dopo domenica, con le loro sciarpe e con le loro bandiere, senza sosta da decine di anni, regalando vita e passione a queste strade. Sono loro il senso di questa città, sono loro che sento adesso, mentre vado a fare la fila ad un botteghino deserto.
Salgo per via Jan Palach e mi rimbomba tutto. Da una casa all’altra rimbalzano le voci, domani portolo stendardo nuovo, Paolo Monelli, un nome che non dimenticherò mai, ci ha fregato dieci anni, la delusione più grande è stata lo spareggio con il Nola, si, eravamo migliaia, venivano da tutto il Nord, pure dalla Svizzera, ti dico che segna Ferrigno, me lo sento, fidati. Accelero verso Pontepiccolo, mi allontano un po’, ma anche qui c’è solo il Catanzaro. Il giovane architetto assapora il gusto dell’ultimo bicchiere di vino e di un ultimo racconto. Che ha il colore scuro del volto di un centravanti possente che si lancia in aria per una rovesciata acrobatica, che gli ricorda un amore finito prima dell’estate e una promozione indimenticabile.
Ora c’è Willy de Ville a farmi compagnia, la sua voce mi ricorda che non c’è niente di più pesante di un cuore vuoto, e il cuore di questa città è leggerissimo, il cuore di questa città è pieno da trent’anni almeno, da un gol in bianco e nero di Angelo Mammì.
La strada urla Noi siamo il Catanzaro e io penso che dovrei cercare di bere di meno. C’è un’ultima sigaretta prima di cominciare a scendere verso casa. San Leonardo: quante volte siamo partiti da qui. Verso un’altra città, verso la nostra curva, verso la gioia, verso la vita. E’ ancora notte, ma per poco. Noi siamo già tornati. Mi infilo in via Carlo V, dove uno studente insonne spende le ore davanti ad un computer e conduce il Catanzaro fino alla coppa Uefa. Tra un po’ comincerà ad albeggiare. Sarebbe da tornare verso il mare, ad osservare il cielo che piano piano si colora di giallo e di rosso. Come sarà per questa città, tra qualche ora appena. Come accade sempre in questa città. Ogni volta che l’anima della gente che vive qui decide di prendere un po’ di aria. Più o meno ogni domenica.
Nicola Fiorita

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