La ‘ndrangheta dietro l’arresto del patron del Parma

Nell’indagine che coinvolge Manenti spuntano i legami con esponenti dei clan calabresi. L’inchiesta cerca di far luce sul reimpiego di capitali illeciti

La 'ndrangheta dietro l'arresto del patron del ParmaSpuntano anche legami con uomini legati alla ‘ndrangheta nell’indagine che ha portato all’arresto del presidente del Parma calcio Giampietro Manenti.

L’imprenditore è stato arrestato con l’accusa di reimpiego di capitali illeciti. Nell’ambito della stessa indagine, arresti e perquisizioni sono state effettuate in diverse città italiane su provvedimento della Procura di Roma.

In manette anche alcuni dipendenti della Ragioneria dello Stato.

Complessivamente sono 22 i soggetti destinatari delle misure cautelari e una sessantina le perquisizioni.
Dall’indagine, emerge che decine di milioni di euro sono stati “rubati” a banche estere e i contatti con uomini della ‘ndrangheta. Il secondo filone di indagine dell’operazione della Guardia di finanza di Roma, chiamato “Oculus”, ha individuato un pericoloso gruppo criminale che compiva in Italia e all’estero frodi informatiche, usava carte di pagamento clonate, reimpiegava capitali di provenienza illecita, e riciclava e autoriciclava soldi.

Il tutto aggravato dal metodo mafioso.

Uno degli episodi contestati è il tentato reimpiego in concorso con il patron del Parma Giampietro Manenti.

Questi era in contatto con Angelo Augelli, assieme ad Adelio Zangrandi tra i vertici della banda. Entrambi sono stati arrestati.

Il secondo episodio ha riguardato l’accesso degli hacker al server di una banca svizzera con trasferimento di 5 milioni di euro a una società spagnola riconducibile a un commercialista di Grosseto, Guido Tori, arrestato. In questo caso è emersa la presenza di soggetti legati alla ‘ndrangheta, Michele Fidale e Ilario Ventrice, intermediari con precedenti per associazione mafiosa.
Il gruppo criminale stava cercando di finalizzare altri due clamorosi trasferimenti di fondi per via informatica, per 10 milioni di dollari e dopo 3 giorni di altri 30 milioni di euro da una banca svizzera a un altro Paese europeo.

Di qui l’accelerazione dell’indagine della Finanza e gli arresti per impedire il compimento di queste operazioni illecite compiute dagli hacker.
La Guardia di finanza ha eseguito perquisizioni anche nella sede della Ragioneria generale dello Stato a Roma.

Le 22 misure cautelari riguardano indagati, a vario titolo, di associazione a delinquere, frode informatica, utilizzo di carte di pagamento clonate, riciclaggio e autoriciclaggio aggravato dal metodo mafioso.

Le indagini sono coordinate dai procuratori aggiunti di Rom Nello Rossi e Michele Prestipino.

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Redazione

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