Scajola al Pm: ecco come ho conosciuto Speziali

Le risposte alle domande dei pm. «Aveva l’ambizione di fare il deputato». Gli incontri del nipote dell’ex senatore pdl con Berlusconi e Dell’Utri

«Speziali aveva l’ambizione di fare il deputato. Avendo fatto il segretario dei giovani democristiani, aveva l’ambizione di fare il deputato e secondo me il suo modo di avvicinarsi a me aveva come obiettivo intanto di dialogare con me, ma anche di avvicinarsi». È alla vigilia dell’udienza del Tribunale delle libertà, chiamata a discutere il riesame dell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Claudio Scajola, che iniziano a filtrare i particolari dell’interrogatorio cui si è sottoposto l’ex ministro pochi giorni dopo il suo arresto, chiesto e ottenuto dalla Dda reggina nell’ambito dell’operazione Breakfast. Il documento è parte della documentazione prodotta dal pm Giuseppe Lombardo ieri nel corso dell’udienza in cui è stata ridiscussa l’ordinanza emessa a carico di Chiara Rizzo, la moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, arrestata circa un mese fa perché accusata di aver aiutato il marito a sottrarsi a una condanna definitiva per mafia e ad occultare il suo immenso patrimonio.

 

I rapporti tra Scajola e Speziali

Un interrogatorio lungo, di cui solo una parte è stata prodotta dal pm, durante il quale il politico finito nei guai ha tentato di dare una spiegazione plausibile alle centinaia di conversazioni intercettate con la donna, ma anche fornito particolari – fino ad oggi inediti – sul suo rapporto con Vincenzo Speziali, nipote omonimo dell’ex senatore del Pdl, oggi anche lui indagato perché sospettato dalla Procura di far parte di quella «associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata “‘ndrangheta” da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale», che gli inquirenti hanno iniziato a ricostruire proprio a partire dalle innumerevoli telefonate fra l’ex ministro Scajola e la donna. Un’associazione che avrebbe avuto nell’ipotesi della Procura un interesse preciso e specifico nel garantire la libertà e operatività di Matacena quale – ipotizzano i pm – «stabile interfaccia della ‘ndrangheta, nel processo di espansione dell’organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello». È in questo quadro che si incastrerebbe il progetto di spostare l’ex parlamentare di Forza Italia in Libano, dove avrebbe goduto di asilo politico, documenti e piena libertà d’azione. Un progetto – conferma Scajola di fronte ai pm – che chiama in causa direttamente Speziali. Con lui, confessa il politico, il rapporto sarebbe nato quasi casualmente.
«Speziali, io lo conosco dopo le dimissioni da ministro. In che occasione? Lui telefona alla mia segreteria a Roma e dice che c’era un convegno dell’Internazionale democristiana a Beirut e che l’Internazionale democristiana avrebbe avuto piacere che io fossi ospite e facessi anche il relatore in una tavola rotonda. Io ci pensai un attimo perché dopo le dimissioni mi sono messo in un angolo, poi pensai che servisse anche a me per riprendermi un po’. Alla fine dico di sì e vado. È l’autunno del 2011 o del 2012. Vado ospite loro, salvo il viaggio che me lo pago io». E sarebbe stato proprio nel corso di quel viaggio che i rapporti fra i due si sarebbero rinsaldati, ma soprattutto che Scajola avrebbe conosciuto lo storico presidente delle Falangi libanesi, Amin Gemayel, che a Speziali – afferma l’ex ministro – è legato anche da rapporti di parentela. «Quando si presentò, Speziali mi disse che il nonno o il fratello del nonno era stato sottosegretario agli Interni quando Taviani, il mio padrino, era ministro dell’Interno – riferisce Scajola ai magistrati –. Si accreditò in maniera anche simpatica. Mi disse che stava a Beirut, che era un dirigente di una di queste società grosse italiane… Astaldi… Mi disse anche che sua moglie era libanese ed era nipote di Gemayel, che non conoscevo se non di nome. Là si cementò di più il rapporto».

 

Alla corte di Berlusconi

E da allora, gli incontri fra i due si sarebbero fatti più frequenti. Anche in occasione di un viaggio del politico libanese a Roma ci sarebbero stati nuovi contatti e incontri. E non solo con Scajola. «Speziali qualche tempo dopo mi dice che Gemayel sarebbe venuto a Roma, allora organizzo un convegno con la mia fondazione. Ma in quell’occasione, Vincenzo mi chiede anche di combinargli un incontro con Berlusconi». Attraverso Scajola, il politico libanese avrebbe dunque incontrato l’allora presidente del Consiglio che «lo accoglie benissimo, gli parla benissimo». Un secondo incontro, avrebbe dovuto essere organizzato nel corso degli ultimi mesi. Anche questa volta, Speziali contatta Scajola. Ma l’ex ministro, le cui quotazioni nel partito in subbuglio sono in ribasso, non può aiutarlo. «Io gli ho spiegato che il mio rapporto adesso è molto più difficile, ma lui mi assicura: «Io mi sono già mosso con la Bergamini», che in passato era stata nella segreteria di Berlusconi e oggi è portavoce di Forza Italia. La chiamo e mi limito a sollecitare. Non so se alla fine l’incontro ci sia stato, ma penso di no. Vincenzo mi chiama e mi chiede: “C’è Gemayel a Roma, possiamo combinare un pranzo?”. Però da quando non sono parlamentare, venire a Roma mi dà fastidio, per cui non sono venuto e l’incontro non c’è stato», continua a spiegare l’ex ministro ai magistrati, cui dichiara, quasi perentorio: «Non l’ho mai più visto».

 

CASO SCAJOLA | L'ex ministro: ecco come ho conosciuto SpezialiIl progetto di fuga libanese di Matacena

Ma negli ultimi mesi, gli incontri istituzionali del presidente Amin Gemayel non sono stati l’unico tema di discussione fra i due. «Speziali – ad ottobre, novembre – viene da me. Non so cosa fosse successo a Dubai. Io non ero molto contento perché Matacena là creava problemi a Chiara e ai suoi figli. (…) Io sostengo che lui farebbe bene a tornate qua. Speziali mi chiama il giorno dopo e mi dice: “Ma perché non chiede l’asilo politico in Libano?”. Questa roba la accenno a Chiara, ma si trascina fino a quando Speziali non mi propone un incontro a Roma, al quale – mi dice – “sarà presente uno dei consiglieri di Gemayel, tu e se porti anche Chiara si possono parlare”. Si programma, prendo i biglietti dell’aereo per venire giù con Chiara, ma tre o quattro giorni prima mi chiama Speziali per rimandare l’incontro, proponendomi invece una riunione ristretta. Lui mi dice che mi manda una nota via fax, che è questa lettera di Gemayel, o che almeno credo sia di Gemayel».
È dunque dalla viva voce di Scajola che ai pm arriva la conferma che quella lettera rinvenuta dai segugi della Dia nell’ufficio dell’ex ministro, in cui si assicura che a Matacena verranno garantiti documenti e piena libertà in Libano, è – effettivamente e nonostante le smentite – di Amin Gemayel. «Ho pensato – continua a riferire l’ex ministro ai magistrati – che se l’avessi mandata a Chiara, lei a Roma non sarebbe venuta, quindi mi organizzo perché una volta arrivati lì mi dicano che l’incontro non c’è più. Ma poi lei non è partita, io mi sono visto con Speziali, gli ho spiegato la situazione in dieci secondi. Lui mi ha detto che la nota era di Gemayel, poi abbiamo parlato di altro. Qualche giorno dopo do la nota a Chiara. Non ricordo se ne ho tenuta una copia. Come non ricordo se avessi fatto note a margine o in un alto foglio sulla base delle indicazioni di Speziali, che mi aveva dato le istruzioni da dare agli avvocati per la richiesta di asilo». Il progetto però non sarebbe andato in porto. La stessa Lady Matacena – cerca di far passare l’ex ministro – non avrebbe creduto più tanto nel progetto. «Il Libano era fuffa», dice Scajola, che afferma: «Io non ho mai cercato Gemayel per parlare di questo, né ho mai parlato di nulla di operativo». Eppure, sono innumerevoli – e nel corso dell’interrogatorio gli vengono tutte contestate – le conversazioni durante le quali si ascolta Scajola discutere tanto con la Rizzo, come con Speziali dell’eventuale trasferimento di Matacena in Libano. Un progetto – sospettano gli inquirenti – che potrebbe seguire le orme di un altro latitante eccellente, braccato da una condanna definitiva per mafia, Marcello Dell’Utri. «Speziali – ammette l’ex ministro – mi disse che aveva incontrato diverse volte Dell’Utri. Io ho arguito che per la sua candidatura dovesse cercare gli sponsor che poteva… non so se l’abbia incontrato in Italia. Lui certamente mi ha detto di aver visto Marcello».

Alessia Candito

corrieredellacalabria

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Redazione

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