Intervistiamo

Daniele Rossi: «Perché in Calabria non scoppia una rivolta sociale?»

Scritto da Redazione

Perché in Calabria non scoppia una rivolta sociale? E’ da questa domanda che voglio partire non certo per proporre l’ennesimo spunto polemico a un dibattito pubblico in verità molto inadeguato rispetto ai drammi esistenti, ma per lanciare un messaggio non rituale e non ipocrita. Gli ultimi dati Istat sul lavoro descrivono uno scenario catastrofico. Il quadro nazionale è sempre più preoccupante. La percentuale di disoccupazione nel primo trimestre 2014 è volata al 13,6%, e addirittura al 46% tra i giovani.

Sono senza lavoro quasi 3,5 milioni di persone, in aumento di oltre 200mila unità rispetto allo stesso periodo del 2013. Ad aprile è calato anche il livello di occupazione sceso di 0,2 punti percentuali al 55,4% La situazione più drammatica resta ovviamente nel Mezzogiorno, dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 21,7% e tra i giovani è arrivato al 60,9%. In questo contesto, la condizione della Calabria è letteralmente sconcertante. Il tasso di disoccupazione, con il 25,4%, è il più alto in assoluto tra quello delle altre regioni italiane. Era il 24,6 nel primo trimestre 2013, per cui è ulteriormente aumentato dello 0,8%. Precediamo Campania (23,5) e Sicilia (23,2). In Lombardia è all’8,9%, in Veneto all’8,4. In un anno la Calabria ha perso altri 10mila occupati, passando da 517mila a 507mila, per cui registriamo il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni più basso tra le regioni italiane: 37,4% a fronte di una media nazionale del 55,1 e circa la metà della Lombardia che si è attestata al 64,4. Ecco perché la domanda di partenza non è un espediente retorico ma una constatazione di fatto, peraltro suffragata dall’esperienza quotidiana di un imprenditore che sta a contatto dodici ore al giorno con dipendenti, collaboratori esterni, aziende.Che tipo di risposta darsi? L’ammortizzatore sociale più potente è il nucleo familiare, popolato da impiegati pubblici e soprattutto da pensionati.

Migliaia di adulti che fanno da banca e da istituto previdenziale per intere generazioni di giovani rimasti in Calabria senza più speranza, oppure emigrati chissà dove in cerca di una stabilità che non arriva. Permangono, inoltre, sacche di assistenzialismo sempre più risicate e figlie di una stagione politica ormai consegnata agli studi storici. E allora mi chiedo: ma quanto si potrà resistere in questo stato di cose? Per quanto tempo ancora le famiglie, considerato anche il continuo aumento del costo della vita, riusciranno a mitigare quelle che a tutti gli effetti sono i presupposti oggettivi di una rivolta sociale?Non voglio accodarmi al coro delle proteste fine a se stesse, ma vedo di fronte a noi il rischio molto serio di un ennesimo inconcludente giro di valzer politico che partirà, com’è più volte accaduto, con il ritornello del cosiddetto “scaricabarile”.

Mi sembra già di rivivere situazioni che conosciamo purtroppo a memoria: “E’ colpa di chi ci ha preceduto”, “Noi siamo arrivati da poco e non abbiamo la bacchetta magica”, e così via, continuando a recitare un copione che ha aggiunto danni alla tragedia generale. Intanto ogni asset strategico che potrebbe significare sviluppo serio e creazione di posti di lavoro non dà alcun segno di ripresa. Penso al turismo, all’artigianato, alle piccole e medie imprese, alla green economy, al terzo settore. Non prendiamoci più in giro, non perdiamo più tempo a polemizzare con il solo fine di vendere demagogia e populismo a buon mercato. La Calabria, se fosse un’azienda, sarebbe fallita. Sì, fallita.

E non è onesto usare altre espressioni, a meno che non si voglia speculare ignobilmente sulla pelle di decine di migliaia di disoccupati, sottoccupati, precari e bisognosi. Iniziamo a dare il giusto peso ai fatti che abbiamo di fronte. E non illudiamoci che con l’aspirina o la camomilla riusciremo a curare un tumore in metastasi.Bisogna essere onesti e non aver paura di dire le cose per come realmente sono. Comparto edile? ormai alla frutta. Turismo? Non esiste. Export calabrese? Non esiste. Lavoro in Calabria? Non esiste e se c’e’ è in nero. Infrastrutture? lasciamo stare. Credito? Le banche non fanno più .Programmazione? mai esistita. Imprese? non ci sono. Smentitemi per favore, voglio le smentite con dati di fatto e riconosco di aver preso un abbaglio.Sento il dovere, fatte queste premesse, di lanciare un appello ai giovani di questa terra di essere sempre liberi di scegliere il proprio futuro, non devono essere gli altri a scegliere per voi così da farvi rimanere sempre sotto una cappa, giovani calabresi che sono stati privati del diritto di vivere in modo civile, di avere un lavoro, una casa e una famiglia. Ribelliamoci in modo democratico, ma ribelliamoci. Non facciamoci più abbindolare da promesse scellerate.

La Calabria ha bisogno di una vera rivoluzione nei contenuti e nei metodi dell’agire politico. Finora, tranne rare occasioni, ho ascoltato solo chiacchiere e politichese. Serve una svolta reale e finalmente incisiva. Serve una Calabria che rema nella stessa direzione per il bene di tutti.

Daniele Rossi – GUGLIELMO SPA

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