Intervistiamo

Il tempo delle domande

Scritto da Francesco Panza
Come resistere alla settima sconfitta ai play off dando un senso alla stagione appena conclusa
 

È difficile spiegarlo a chi non l’ha mai vissuto, quello strano senso di vuoto che si avverte ogni volta che il triplice fischio di un arbitro risuona nel “Ceravolo” e a festeggiare sono quelli del settore ospiti. È un qualcosa a metà tra la rabbia e la rassegnazione. Uno stato dell’anima che ti accompagna per qualche giorno ma lascia dentro un solco indelebile. La gara contro il Benevento non fa eccezione. Passerà come tutti i play off giocati e persi. Una tappa obbligata che ciclicamente segna la vita del tifoso giallorosso e costringe tutti a riflessioni, analisi, approfondimenti. È chiaro, c’è bisogno di razionalizzare, di dare un senso. Ma l’analisi è tanto semplice quanto spietata: la B era un miraggio. Un’illusione vissuta con lucida follia nell’arco di tutto il campionato. È il pallone, bellezza. Che ti fa sognare, imprecare, gioire e gridare, ma alla fine, a queste latitudini, ti costringe sempre a tornare coi piedi per terra. E allora cosa resta di questo campionato? Cosa ne facciamo dei record difensivi spazzati via in novanta minuti? Come giustifichiamo le attese, i chilometri macinati, i soldi spesi, la pioggia sugli spalti? Probabilmente non era ancora giunto il nostro momento. Oppure non eravamo attrezzati per il salto. Molto più semplicemente, siamo nel bel mezzo di un climax ascendente che non ha ancora raggiunto l’apice.  Nell’ultimo triennio siamo passati dalla Seconda alla Prima Divisione, abbiamo conquistato una salvezza e ci siamo giocati gli spareggi promozione. In questo periodo la società è sempre cresciuta colmando di volta in volta i limiti emersi nella stagione precedente. Di sicuro spetterà al presidente Cosentino dare le risposte più importanti: rilanciare un progetto giunto ormai alle soglie del quarto anno o appiattirsi su un destino di terza serie.

 

CONTRATTOPOLI E STADIO – Sono le questioni più spinose, quelle sulle quali si è scritto e detto tanto e sulle quali Cosentino si è speso in prima persona. La prima (contrattopoli) risente dell’atavica lentezza della giustizia italiana. La seconda (i lavori del Ceravolo) è l’emblema del perenne stato emergenziale in cui è relegata la città. Al presidente va riconosciuto coraggio e tenacia nell’affrontare vicende di questa portata. Molti avrebbero gettato la spugna al suo posto. 

Al netto delle promesse non mantenute da politici e imprenditori, ci sono due certezze: lo stadio resterà monco almeno fino al 2016, contrattopoli non arriverà ad un epilogo prima della fine dell’anno. Nel mezzo una stagione difficilissima da programmare. Sessanta squadre ai nastri di partenza della nuova serie C unica. Solo quattro promozioni. Tradotto significa che vinceranno solo i migliori. La sfida di Cosentino sta proprio qui: rinforzare squadra e società per dare un senso al lavoro compiuto finora senza farsi condizionare da fattori esterni. 

  

LA BASE – La stagione appena conclusa lascia in dote un’intelaiatura di assoluto valore. Bindi, Rigione, Ferraro, MarchiSabatino, Vitiello, Benedetti, Vacca, Germinale, Russotto, Fioretti. Confermarli in blocco non lascerebbe spazio ad interpretazioni. Investire per rinforzare attacco e centrocampo aprirebbe scenari importanti. Diversa, invece, la posizione di mister Brevi. Tra scettici, esteti e nostalgici, il suo lavoro ha diviso e unito contemporaneamente. Da una parte una fase difensiva ai limiti del catenaccio, dall’altra i risultati ben al di sopra delle effettive potenzialità della squadra e delle iniziali richieste della società. Sempre pacato, lucido nell’analisi delle partite e onesto nell’ammettere i propri limiti, è stato abile nel creare un gruppo solido che ha difeso facendosi carico di tutte le responsabilità nei momenti di difficoltà. Una sua conferma non stupirebbe. Sotto la lente d’ingrandimento anche il lavoro del ds Ortoli. In un anno e mezzo è riuscito a dare una prospettiva tecnica. Sue alcune intuizioni come Rigione, Vitiello e Vacca, come pure alcuni flop, su tutti Madonia; senza dimenticare la querelle Ridolfi che tenne banco nel corso dell’ultimo mercato estivo. Il rapporto col presidente Cosentino sembra saldo ed è facile ipotizzare la sua permanenza anche nel corso della prossima stagione.

 

COSENTINO E I TIFOSI – «Fino a quando sarò innamorato del Catanzaro resterò. Il problema è che alle volte l’amore può finire. Speriamo di no». Con queste parole il presidente Cosentino ha lasciato la sala stampa del “Ceravolo” domenica scorsa. Evidente l’amarezza per la sconfitta, altrettanto evidente il malessere per quei fischi dopo lo zero a zero interno con il Lecce, che di fatto hanno segnato una frattura nel rapporto con la tifoseria. Nella testa di mister Gicos si è fatta avanti l’idea che una fetta consistente di tifosi non sia più dalla sua parte, e questo, alla luce della simbiosi delle prime due stagioni, lo ha indotto a rivedere il rapporto col pubblico. Una guerra di posizione è l’ultima delle necessità per il Catanzaro. Il calcio, in realtà, è una cosa semplice: fai bene ricevi gli applausi, fai male ricevi i fischi. È una regola non scritta che va incrociata con la voglia del tifoso di vedere la propria squadra vincere, possibilmente sempre. Certo, quei fischi magari non saranno tutti genuine e disinteressate manifestazioni di dissenso, ma è impensabile avere dalla propria parte una schiera di “signor sì” pronti a stendere tappeti rossi. Catanzaro è una città con mille contraddizioni, ma una cosa è certa: non aspetta altro che infiammarsi di passione. A Cosentino la scelta di accendere o meno la scintilla. 

Francesco Panza

 @effepanza

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Francesco Panza

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