Intervistiamo

Il Cirò di De Franco tra i “vini inesplorati” del New York Times

Scritto da Redazione

 Qualcosa sta cambiando nella Calabria del cemento (un abuso ogni 150 metri di costa). Un segnale di un nuovo modo di vivere il territorio arriva da un architetto non ancora cinquantenne. Si chiama Francesco De Franco, coltiva 8 ettari di vigne a Cirò. Ha recuperato il senso del Gaglioppo, vitigno millenario che cresceva quando, per i greci, la Calabria si chiamava Enotria. Il suo Cirò dell’azienda ‘A Vita è consigliato dal critico del New York Times, Eric Asimov, tra le 20 bottiglie del mondo sotto i 20 dollari per avventurarsi nel 2014 «tra vini inesplorati».

«Per due decenni sono stato lontano dalla Calabria: studi a Firenze, poi il lavoro da architetto a San Marino — racconta —. Poi ho sentito l’esigenza di ritornare alla terra, a ritmi imposti non dalla finanza ma dalla natura. Ho pensato: mi dedico alla vigna di famiglia. Mi sono rimesso a studiare, quattro anni all’Enologico di Conegliano, quindi stage in Cile e in Friuli Venezia Giulia. Poi sono rientrato». Giusto in tempo per assistere alla mossa del Consorzio di tutela del Cirò e Melissa: cambiare le regole e permettere di usare altri vitigni, anche internazionali come Cabernet e Merlot, fino al 20%. Francesco si schiera con i tanti piccoli produttori che chiedono di rispettare l’identità territoriale e la storia del vino.

«Nelle nostre vigne — ricostruisce De Franco —, sulle colline di Cirò tra lo Jonio e la Sila, c’era il Gaglioppo, carattere difficile da domare. Si fa il Cirò, l’unico vino conosciuto della Calabria, anche grazie a Librandi. Ci sono 40 cantine, una denominazione piccola, 3,5 milioni di bottiglie l’anno. Così piccola che non ha senso logico snaturare il Cirò facendo assomigliare ad altri rossi. Quella battaglia l’abbiamo vinta».

E la segnalazione di Asimov dimostra che la scelta è stata giusta. «Dimostra — spiega l’architetto-vignaiolo — che, grazie alle influenze europee, il gusto americano si sta modificando: addio ai rossi ciccioni, potenti con molta presenza di barrique, ora si cercano vini semplici, bevibili, immediati».

Aveva e ha idee chiare, De Franco, sulla semplicità necessaria.

«Primo: continuare a coltivare con il metodo biologico. Secondo: dare i giusti tempi al vino, almeno 2 anni di affinamento, 4 anni per le riserve. Terzo: una piccola azienda deve avere dei vini di carattere che forse non piacciono a tutti, ma che hanno qualcosa da dire. Sono tornato dopo 20 anni non certo per tradire la terra a cui appartengo».

Il primo vino è stato il Rosso classico superiore, un Cirò con uve Gaglioppo al 100%. Il debutto a una fiera ad Ercolano, «La parola ai vignaioli». Successo immediato. Quel Cirò che sembra sprigionare l’energia del sole assorbita dalle uve che maturano lente (vendemmie a metà ottobre), piace subito. «Sono stato fortunato — dice De Franco — ma ero sicuro che mettermi sulla scia dei viticoltori del passato sarebbe stata la scelta giusta». Asimov descrive così il Rosso classico: pastoso, tannico, con sapore di nocciola e profumi di rosa appassita (lo si potrà degustare a Vini di Vignaioli, fiera alla Cascina Cuccagna di Milano, l’8/9 febbraio).

Ora che il senso del Gaglioppo è compiuto e il Cirò viaggia nel mondo, De Franco, con la sua compagna friulana Laura Violino, può tentare altre strade e pensare a nuovi vini oltre a Classico, Riserva, Rosato, Rosso. In un ettaro, è pronto a sperimentare altre varietà autoctone calabresi, Greco nero e Magliocco. In purezza. E oltre le macerie.

Luciano Ferraro, Corriere della sera

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