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Appalti: Catanzaro, archiviazione per viceprefetto e funzionaria

Scritto da Redazione

Il giudice per le indagini preliminari di Catanzaro ha disposto l’archiviazione del procedimento penale nei confronti del vice prefetto di Catanzaro, Sebastiano Cento, e della funzionaria della prefettura, Carolina Ippolito, coinvolti nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro su presunti illeciti connessi all’assegnazione di appalti da parte del Comune del capoluogo, nei quali sarebbe riuscita ad entrare la criminalità organizzata. Il giudice, Tiziana Macri’, ha accolto la richiesta della Procura, condividendola in pieno, e rilevando che “risultano esplorati gli ipotizzabili canali investigativi con esito infruttuoso ai fini di cui alla originaria prospettazione accusatoria senza che possano prospettarsi sviluppi procedimentali di diverso tenore”, e che “deve ritenersi totalmente esclusa l’integrazione di elementi di rilievo penale a carico del dott. Cento e della dott.ssa Ippolito in ordine a tutte le fattispecie di cui alla richiesta di archiviazione”.

L’inchiesta in questione, avviata nel 2007 ed affidata alla Squadra mobile ed alla Digos di Catanzaro, ha coinvolto 47 persone, tra le quali anche dipendenti del Comune di Catanzaro ed un avvocato. Le accuse complessivamente ipotizzate vanno dall’associazione mafiosa, al concorso esterno in associazione mafiosa, al falso, truffa, turbata libertà degli incanti, abuso d’ufficio, corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio, favoreggiamento. E nell’inchiesta quello di Cento fu uno dei nomi eccellenti venuto alla ribalta delle cronache. Nel maggio del 2011 il vice prefetto, affiancato dal suo difensore, l’avvocato Vincenzo Ioppoli, fu interrogato dall’allora titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore Gerardo Dominijanni, e rispondendo lungamente alle domande degli inquirenti respinse con forza le ipotesi d’accusa a suo carico, che parlavano di abuso d’ufficio, corruzione e rivelazione di segreto istruttorio, tutte con l’aggravante della “mafiosita'” per aver commesso i fatti “al fine – sosteneva allora la Procura della Repubblica – di agevolare l’attività del sodalizio di ‘ndrangheta contestato”. Si tratterebbe, sempre stando alle ipotesi d’accusa all’inizio formulate, di un gruppo composto da “referenti della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto”, “personaggi riconducibili agli Scerbo ed ai Mannolo di San Leonardo di Cutro”, nonchè i “massimi vertici della cosca reggina dei Mazzagatti-Rustico-Polimeni”, con “l’affrancazione/affiliazione del cosiddetto Gruppo Lobello”. Con quest’ultimo il sostituto Dominijanni faceva riferimento all’impresa dei fratelli Antonio, Daniele e Giuseppe Lobello, che per il magistrato sarebbe stata “eletta ad impresa di riferimento dal sodalizio di ‘ndrangheta”, deciso ad acquisire il controllo sulle attività economiche di Catanzaro e Simeri Crichi, che avrebbe oltre tutto condizionato la “consultazione elettorale relativa al rinnovo dell’Amministrazione comunale di Catanzaro del mese di aprile/giugno 2006” con lo scambio di voti con l’appoggio nel settore degli appalti grazie alla “risoluzione di problematiche tecnico-burocratiche”.

Proprio la ditta Lobello ed i lavori che ha svolto per il rifacimento del corso Mazzini, a Catanzaro, erano al centro delle contestazioni inizialmente mosse al vice prefetto Cento, accusato di aver illecitamente rilasciato all’impresa la certificazione antimafia che gli era stata sospesa. Ma tutte le ipotesi d’accusa contro il vice prefetto, nonché contro la funzionaria Ippolito, sono completamente venute meno nel corso dei mesi, tanto che il sostituto procuratore, che ha ereditato dal collega Dominijanni il fascicolo d’indagine, si è determinato per una richiesta di archiviazione interamente accolta dall’autorità giudiziaria. (Agi)

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