Il Rompicalcio

Uno spettro in carne e ossa

Scritto da Redazione
I 500 di Barletta e l’attaccamento viscerale della tifoseria giallorossa al Catanzaro, frutti di un’eredità da preservare 

I 500 tifosi di domenica scorsa a Barletta

Uno spettro si aggira per i campi della Lega Pro. No, non preoccupatevi. Non c’entra niente con quella strana utopia disegnata da Marx nella vecchia Europa di quasi due secoli fa. Non si tratta un fantasma, anzi. È vivo e vegeto. È fatto di carne e di ossa. Di voce e di colori. Di fatica e di passione. Di storie e di sotterfugi. È il popolo giallorosso. È la tifoseria del Catanzaro. Può far sorridere che un pezzo del genere venga scritto e pubblicato su un portale informativo che ha come unica ragione di esistere il Catanzaro Calcio. Beh troppo facile, direbbe qualcuno. Lasciate che a scrivere certe cose siano osservatori neutrali.

No. Non è giusto. In un calcio di Lega Pro che fatica ad avere visibilità, in un calcio che ha svuotato gli stadi con scandali da terzomondo pallonaro e legislazioni speciali, c’è bisogno di parlare di noi. C’è bisogno di ritrovare un pizzico d’orgoglio in una città non-governata da anni, che affonda nei suoi problemi atavici e nei continui ritorni alle urne. C’è bisogno di esempi di attaccamento, di visceralità. Sì, c’è bisogno di Catanzaro e della sua tifoseria. Perché il Catanzaro è la carta d’identità della città, un simbolo più del ponte. E i tifosi giallorossi sono gli ambasciatori di questa catanzaresità.

Il muro giallorosso al "Comunale" di Torino nel 1972

Gli “osservatori neutrali” si rincorrono per esaltare i comportamenti delle tifoserie straniere davanti a sconfitte storiche. Ma che ne sanno di Sora, Acireale, del Flaminio… E sono pronti a puntare il dito al primo problema che si verifica sugli spalti degli stadi italiani. Ma di storie belle ce ne sono anche qui. Nonostante tutto. Catanzaro è una di queste storie.

Ma perché decidi di raccontare questa storia proprio oggi? Effettivamente avrei potuto già farlo. Quest’estate, dopo Carrara, o dopo Pisa. Dopo gli ettolitri di pioggia ingoiati nella fangose trasferte autunnali a 1000 chilometri da casa. Ho deciso di scriverlo oggi perché domenica è andato in scena l’ennesimo spettacolo. Una squadra quintultima in classifica, il Catanzaro appunto, reduce da un inizio di campionato quasi disastroso rispetto alle attese, va a giocare sul campo del fanalino di coda Barletta. Quintultima contro ultima, insomma. Una partita tutt’altro che esaltante, contro un avversario più volte incontrato di recente, in una città amica per via del gemellaggio ma che non esalta dal punto di vista turistico e non ospita frotte di universitari calabresi (come Pisa o Perugia). Una trasferta di quasi 450 chilometri, geograficamente molto difficile anche per i tanti emigrati catanzaresi sparsi per la penisola.

Fioretti esulta dopo l'1-0 al Barletta

Eppure domenica, sugli spalti del “Puttilli” c’erano 500 tifosi ospiti. Cinquecento. Non gonfiati dalla fantasia, ma frutto di biglietti staccati. Nonostante le difficoltà attraversate dal tifo organizzato per i motivi che tutti conosciamo (prezzi, tessere, leggi). Una macchina alla volta e il parcheggio si è riempito. Un tifoso alla volta e il settore ospiti si è magicamente colorato di tifo e di passione. 500 persone. Un fenomeno inspiegabile se non sei visceralmente legato a quei tre colli e a quella maglia. Perché i numeri è facile snocciolarli nelle vittorie, ma contano soprattutto quando le cose non vanno bene.

Noi siamo il Catanzaro” non è un esercizio retorico. È un dato di fatto. E questa eredità non va dispersa, non va sciupata. Va coccolata non solo da parte della società, ma soprattutto da noi stessi. È un patrimonio inestimabile di aneddoti e di amicizie. È il collante che tiene unita una comunità divisa dalla diaspora dell’emigrazione. Che ne sanno gli “osservatori neutrali” dei cofani fumanti e di Simmaco, della pasta china e delle bandiere di Capicotto, degli ingorghi all’ospedale e degli arancini, del vino rosso e del vecchio pino ormai defunto? 

Ivan Pugliese

@naracauliz

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