Notizie

TUTTO COMINCIO’ DA UN GOL ALLA JUVE

di Vincenzo Cito (dalla Gazzetta dello sport)

In principio fu Angelo Mammì, centravanti del Catanzaro. La sua squadra, debuttante in serie A, dopo un intero girone di andata non aveva ancora vinto una partita. Quel 30 gennaio 1972 allo stadio Militare arrivò la Juventus, prima in classifica. A sei minuti dalla fine, su un calcio d’angolo di Braca, proprio Mammì, che non era altissimo, si abbassò fino alla scarpa di un difensore per colpire di testa e gelare Carmignani. Palla in rete per la prima, storica vittoria del Catanzaro in serie A.
Successe di tutto, ci fu persino un tifoso che entrò nella cabina radio di Enrico Ameri per gridare la sua gioia. E Mammì? Cominciò una lunga corsa che idealmente non si è ancora fermata. Braccia al cielo, prima nel campo e poi fuori, inseguito da compagni di squadra, dirigenti e fotografi. Una sorta di aeroplanino ante litteram che negli anni sarebbe stato interpretato da altri, più illustri, eredi.
Quel giorno, televisivamente, l’esultanza entrò nelle nostre case, grazie alle immagini di un gol storico, trasmesso in bianco e nero e segnato ai bianconeri che — tanto per cambiare — avrebbero poi vinto lo scudetto. Il povero Mammì, scomparso pochi anni fa, diventò il simbolo di tanti ragazzini. Segnato il gol, si esultava come lui. Non eravamo abituati a tanta, straripante, manifestazione di felicità. D’Oltremanica arrivavano altri esempi, quelli di compostissimi attaccanti che, segnato un gol, si limitavano alla canonica stretta di mano. Non era cosa per noi. E allora viva Mammì che rivelò al mondo la nostra passionalità tutta latina. Come noi, più di noi, i sudamericani venuti a giocare nel campionato italiano: stessa faccia, stessa razza.
All’inizio degli anni Ottanta, nella Avellino sconvolta dal terremoto e da una penalizzazione di 5 punti, arrivò un brasiliano tutto pepe, si chiamava Juary. Quando segnava, raggiungeva di corsa la bandierina del calcio d’angolo, danzandole attorno. Un altro mito, che mise in crisi però i ragazzi che giocavano in strada. Per imitarlo, erano costretti a girare attorno alle borse da scuola, gettate a terra per delimitare i pali di una porta immaginaria. Non avevano altro. In quella stagione (1980-81), Juary fece proseliti. Nel derby vinto a Firenze, il gol partita della Pistoiese fu segnato da Badiani. Tentò di fare la stessa cosa, con scarsi risultati. La danza leggera di Juary era inimitabile. Salvato l’Avellino, il brasiliano l’esportò a San Siro, con la maglia dell’Inter. Vent’anni prima di Martins.
Erano i tempi di un solo straniero per squadra, di poche telecamere sui campi, di pochissime dirette. Il calcio cambiò con l’esplosione dei grandi network che trasformarono anche il modo di vivere il calcio. Diventò, in fretta, un momento di spettacolo, condizionandone i protagonisti. E così, prima del gol, i giocatori — nelle lunghe vigilie prepartita — hanno cominciato a studiare soprattutto come festeggiarlo. Coreografie non casuali, pensate a tavolino. Dalle spanciate collettive sull’erba al trenino del Bari dei primi anni Novanta: tutti in fila, a quattro zampe, a ritmo lento ed estenuante. Oggi l’esempio è raccolto solo dai treni dei pendolari, quelli che non arrivano mai. Ben altre trovate animano la fantasia dei nostri calciatori.
L’aereoplanino di Montella — a esempio — è diventato un marchio di fabbrica. In uno spot pubblicitario, l’arbitro Collina esulta allo stesso modo. E i bambini assorbono come spugne perché più che dai campioni, sono attratti dal loro modo di esultare. Per loro, fortunatamente, il calcio è ancora un gioco. Come giocoso va considerato il gesto della mitraglia inventato da Batistuta. Se lo chiamano cannoniere, un motivo ci sarà.
Il brevetto è poi passato a Van der Meyde. Arma per arma, perché non usare allora l’asta della bandierina? Hanno pensato anche a questo, negli anni l’hanno divelta e fatta roteare. Non l’hanno ancora lanciata contro nessuno e speriamo di non avere dato un’idea a qualcuno. Meglio, tutto sommato, le trovate, meno cruente di quest’anno. Gilardino, a Parma, dopo ogni gol fa il gesto della sviolinata. E Floro Flores, attaccante del Napoli, ha festeggiato la sua prima rete al San Paolo baciando la gigantografia di Sergio Ercolano, il tifoso morto ad Avellino. Per il resto, fanno discutere di più quelli che non esultano. Vieri, vedrete, presto sarà tema di una tesi universitaria. Tutti d’accordo invece sul compagno di squadra, Martins: sua l’esultanza più spettacolare di sempre, un’escalation di evoluzioni da lasciare senza fiato.
E così, in 30 anni, siamo passati dalla corsa impazzita di Mammì alla ginnastica acrobatica. Ma, a pensarci bene, quel gol del Catanzaro non equivale — per difficoltà — a un salto mortale?

Autore

Redazione

Dal 2002 il portale più letto e amato dai tifosi giallorossi del Catanzaro

Scrivi un commento