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Molto più che una partita di calcio

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La trasferta di L’Aquila con occhi catanzaresi. Le parole di Giuseppe Bitonti e gli scatti di CC sono il piccolo contributo di Puntonet alla causa di una città ferità

L’Aquila-Catanzaro per tanti di noi che erano lì domenica è stata molto più che una partita di calcio. nella sua presentazione della trasferta ce lo aveva anticipato. E aveva ragione. Per la prima volta da anni mi è capitato di vedere l’evento sportivo come un contorno, quasi un fastidioso intermezzo infilato dentro a una giornata diversa dal solito. Era importante vedere, parlare con gli aquilani, capire il loro dramma e la loro volontà di ricostruire non solo una città ma soprattutto un sentimento di comunità. C’è un grido che rimbomba nel vuoto del centro storico: gli aquilani chiedono ai passanti, ai turisti, ai visitatori, ai tifosi di calcio una testimonianza. Vedere per raccontare a chi non è mai stato a L’Aquila dopo il 6 aprile del 2009. Noi ci proviamo con le parole di Giuseppe Bitonti e le foto di CC. Per non dimenticare.

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Leggo: «L’Aquila era troppo bella per avere pure culo». Ho avuto la possibilità di seguire il mio Catanzaro e di poter vedere una città martoriata, che pian piano ha perso l’onore delle cronache. L’Aquila non è un crocevia, neanche una città di passaggio. Ma hanno ragione i suoi cittadini: bella, incastrata tra massicci imponenti si distende su un lato di montagna. Forse è per questo che dopo altissime mura verdi, panorami di una serenità evidente, appena inizi la salita verso il centro quelle macerie sono un pugno allo stomaco, un disagio emozionale. 

Ci eravamo accordati: si parte in piena notte, dovevamo sapere, volevamo vedere. Forse per questo del Catanzaro si è parlato poco, nella giusta misura. Si voleva dare significato ad una trasferta, forse la più emblematica da quando il Catanzaro gioca fuori casa. Siamo in centro e siamo dentro. Il risultato di una delle più grandi paure che ognuno di noi porta con sè da sempre è li, fermo, immobile. Come quelle case che una parete sbriciolata ti permette di vederne i lampadari, i mobili, gli oggetti personali che altrimenti sarebbero di chi li vive in casa propria. 

Ciò che risalta subito è la grande disponibilità degli aquilani, consapevoli che anche queste visite portano ossigeno ad una quotidianità monca, ad un andare avanti faticoso. Si vede in ogni anfratto che hanno bisogno di comunicare la loro disgrazia, di più che hanno bisogno di essere ascoltati. Il terremoto, si sa, non uccide. Siamo solo avide vittime del cemento, quello che non alza più campanili imponenti, né sontuosi palazzi ducali, né anfiteatri maestosi, ma incubatrici di esseri umani, di quelle che usano per gli allevamenti intensivi. Allora va bene nessun senso estetico e soprattutto, se puoi togliere il ferro per la sabbia, tanto meglio. Costa meno, tanto meno. Ma per favore non chiamateci turisti. Perché il turista ha come fine il fascino delle sue mete e qui di affascinante non c’è nulla. La gente per le strade cammina lenta, come in un cimitero, e quando lo sguardo non è rivolto verso le macerie è rivolto verso il basso. Chi attraversa quelle strade lo fa in punta di piedi, in mesto silenzio quasi a fare da contrappasso ad una notte caotica, roboante e piena di urla.

Siamo dunque testimoni, con lo scopo di far sapere cosa accade oggi. Di quella notte di aprile sappiamo tutto, persino di chi squallidamente si fregava le mani. Forse questa è la parte più dolente perché il senso di Stato si riappropria di quello che deve essere. Non una contrapposizione politico-ideologica – che qui non esiste – ma un dovere, un bisogno che ognuno di noi ha di sentirsi cittadino, parte attiva di un sistema fatto di uomini e cose. E case. Oggi L’Aquila non è degli aquilani. È di noi tutti perché, come accade nei film struggenti, quando ti lasci dietro un deserto di comunità, ti senti dentro quel senso di vergognosa felicità che non sia accaduto a te, alla tua città ed ai tuoi cari. Allora il minimo che puoi fare è quello di ascoltare ciò che quelle mura, quelle persone hanno il bisogno di far sapere.

Torniamo dopo una giornata di sport verso casa, che è lontana. Catanzaro non è un crocevia, neanche una città di passaggio.

Giuseppe Bitonti

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