In Calabria si fa pagare il test HIV e non si rispetta l’anonimato

Due diritti negati e due modi che favoriscono la diffusione dell’AID. La denuncia è dell’Asociazione Lila Calabria di Lamezia Terme

Il test per l’HIV è il test specifico per sapere se si è stati contagiati o meno dal virus dell’HIV e la legge 135/90 ne prevede la forma anonima, al fine di tutelare il diritto alla privacy e alla riservatezza della persona interessata, a fronte dei pregiudizi sociali e delle discriminazioni ancora oggi  persistenti nei confronti delle persone sieropositive.

Da una ricerca realizzata dall’associazione LILA Calabria emerge, tuttavia, che su 13 centri ospedalieri calabresi contattati, in 10 non viene garantito l’anonimato per chi effettua il test, essendo richiesta la prescrizione medica, con l’inevitabile conseguenza di rendere note le proprie generalità.

Oltre ad essere anonimo, il test per l’HIV dovrebbe anche essere gratuito, secondo quanto previsto dal decreto del Ministero della Salute del 31 marzo 2008 (G.U. 28 luglio 2008 n. 175) e riportato altresì dal sito web ufficiale dello stesso Ministero, proprio per garantire a tutti l’accesso al test e per contrastare la diffusione dell’HIV che ancora oggi colpisce, solo nel nostro paese, 150mila persone (secondo i dati del COA – Centro Operativo AIDS) e con una incidenza di circa 4mila persone all’anno. Dati che neppure tengono conto del c.d. sommerso, ossia di quella fetta di persone che non è a conoscenza dell’aver contratto il virus (un sieropositivo su quattro non sa di essere affetto).

Ciononostante, in Calabria tali diritti non vengono garantiti e in quasi tutti gli ospedali contattati viene richiesto il pagamento del ticket per eseguire il test. Garantito è piuttosto il sistema di comparaggio e clientele che regola la nostra sanità in cui, anche per godere di un diritto riconosciuto, bisogna scendere al livello umiliante di richiedere il favore all’amico di turno: ecco che allora il test diventa magicamente anonimo e gratuito!

 

Rispetto a questo andazzo nutriamo forti dubbi di legittimità e opportunità, anche alla luce dei recenti documenti sottoscritti in materia dall’OMS (organizzazione mondiale della sanità) e del contrasto che sussiste con il decreto ministeriale di cui sopra: esso andrebbe recepito ed attuato poiché oltre a garantire l’anonimato e la gratuità del test per l’HIV, prevede un effettivo servizio di counselling mirato a un consenso informato e consapevole, nonché un adeguato sistema di sorveglianza dell’infezione che tenda alla riduzione del sommerso.

In un contesto di arretramento tale sul piano dei diritti, si colloca l’ulteriore decisione di chiudere alcuni reparti di malattie infettive, quali quelli di Lamezia Terme, Vibo Valentia e Crotone, in forza del piano di rientro in materia di spesa e riorganizzazione sanitaria.

Un siffatto intervento, tuttavia, non tiene assolutamente conto del disagio per i pazienti sieropositivi e non solo, costretti sempre più a viaggiare per curarsi e a instaurare nuove relazioni mediche di fiducia, né delle implicazioni che tutto ciò comporta sul buon andamento e sull’efficacia della terapia.

Lo stato di imbarbarimento in cui versa il sistema sanitario regionale genera forte preoccupazione.

Il diritto alla salute è un diritto fondamentale di cui ogni persona dovrebbe godere secondo quanto previsto dall’art. 32 della Costituzione e mai come in questo contesto la tutela dei singoli è al tempo stesso tutela dell’interesse dell’intera collettività. La prevenzione e il diritto alla cura sono le sole strade percorribili per una lotta efficace contro l’AIDS per fermarne la diffusione, per ribadire il senso umano e civile di una comunità, per il diritto a vivere in uno stato di garanzia dei diritti umani.

Autore

Salvatore Ferragina

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